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Quella Cima che era “La Grappa” ora è “Monte Sacro alla Patria”

PAOLO MALAGUTI
2 minuti di lettura

Doveva essere proprio bella, la Grappa, quand’era solo una montagna. Poche le foto: una gobba erbosa, un cippo in pietra a segnare la cima. I cambiamenti iniziarono nel 1897, quando venne inaugurato dal Club Alpino Bassanese il primo rifugio. Il 4 agosto 1901 fu la volta della Madonnina, benedetta dal Patriarca di Venezia Giuseppe Sarto, che esattamente due anni dopo, il 4 agosto 1903, diventerà Pio X.

Arrivò la Guera Granda, ma fino al 1917, con Caporetto, la Grappa fu lasciata nel complesso tranquilla: tra la fine del ’16 e il 7 ottobre ’17 venne realizzata la Strada Cadorna, che da Romano portava fin quasi alla Cima: un’intuizione che si rivelerà fondamentale per la difesa del Massiccio dopo “la rotta”.

Cima Grappa tra il novembre del ’17 e il novembre del ’18 divenne il perno della linea italiana sul Massiccio, grazie a un’altra “grande opera”, la galleria Vittorio Emanuele, realizzata mentre sul Grappa già si combatteva. Se le strade e le teleferiche garantivano agli italiani un rifornimento di uomini e mezzi molto più agevole che per il fronte austriaco, la Vittorio Emanuele garantì una struttura militare praticamente inespugnabile: 5 km di caverna, una capienza, a regime, di 15.000 uomini, con cappella, cisterne, posti letto, punti di medicazione. E soprattutto 72 pezzi di artiglieria e 70 mitragliatrici che, sui due fianchi, battevano senza problemi le cime circostanti.

Nel ’18 arrivò la pace, ma non per la montagna, che nel frattempo aveva cambiato genere, “il Grappa”, non più “la Grappa”. Martoriata da trincee e gallerie, nel 1927 venne ultimato un primo sacrario, in caverna, a pianta centrale, ancora oggi in parte visitabile dalla galleria Vittorio Emanuele. Nel 1932 iniziò la costruzione dell’attuale sacrario a gradoni di pietra bianca, ultimato nel ’35. Ufficialmente la ragione per cui il sacrario in caverna non andò più bene fu l’umidità, che rovinava i loculi e le ossa. Ma pare che una “spintarella” venne data dal regime fascista, in cerca di simboli forti e visibili della vittoria. Un ossario in caverna serve a poco. Un sacrario che, nei giorni sereni, si vede da mezzo Veneto, giova di più alla retorica che si stava costruendo in quegli anni.

Il Grappa è uno spazio straordinario perché ci permette non solo di leggere i segni profondi che la Storia ha lì tracciato, ma ci aiuta anche a riflettere su un’importante verità: i segni della memoria (monumenti, sacrari, lapidi) non sono così per caso, o perché “dovevano” essere così. Sono frutto di scelte fatte da uomini. Quel sacrario è un monumento pensato così dal fascismo. Capirlo ci aiuta a comprendere come la generazione dei “figli della Grande Guerra” precipitò in un nuovo conflitto mondiale. Scrostare la retorica fascista dalla doverosa memoria per i tanti morti che lì riposano non è facile, ma ci aiuta, forse, a ricordarli con più serenità e, credo, più rispetto. —



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