Servono corsi obbligatori di cybersecurity per chi ricopre cariche pubbliche
di Riccardo Luna
(afp)
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Il profilo Twitter del ministero della Transizione ecologica è stato hackerato. Non è la prima volta che succede ad un ministro in Italia o nel mondo. Capita. Non tutti i giorni, ma capita. Va detto che il ministero di Roberto Cingolani qualche mese fa ha subito un attacco al sito web ed è stato costretto a stare offline, fuori dalla rete, per diversi giorni.
E va aggiunto che questi due episodi dimostrano una certa vulnerabilità informatica di un ministero chiave in questa fase di crisi del prezzo del gas. E infine, per evitare allarmismi inutili, va considerato che in nessuno dei due casi si sono registrati danni: allora nessun hacker russo si è impossessato di documenti segreti sulle scorte energetiche dell’Italia. E oggi nessun tweet ha scatenato una crisi diplomatica: l’unico effetto è stato far conoscere a molti l’identità del fondatore di Ethereum, il canadese Vitalik Buterin, la cui foto il misterioso hacker ha messo al posto di quella di Roberto Cingolani sul profilo del MITE.
Poco male. Epperò se questa notizia può insegnarci qualcosa è che ancora oggi tra le massime cariche pubbliche regna una generale sottovalutazione dell’importanza della sicurezza informatica. Come se fosse un tema da tecnici e in ogni caso, non così importante. E questo nonostante molte grandi aziende e istituzioni italiane nei mesi scorsi siano state oggetto di attacchi importanti. L’esempio più clamoroso non è quello che è accaduto al profilo Twitter di Cingolani oggi, ma al profilo whatsapp di un magistrato della Corte dei Conti, che è caduto in una banale trappola perdendo il controllo dell’intera rubrica telefonica dove magari custodiva password e altre informazione sensibili.
Morale? Servono dei corsi obbligatori di sicurezza informatica per chi ha cariche pubbliche. Potrebbe occuparsene l’Agenzia nazionale per la cybersicurezza. In fondo il primo passo per avere più sicurezza è la consapevolezza.