Per gli italiani l'intelligenza artificiale è uno strumento utile di cui non si può fare più a meno. Uno studio Swg condotto per Italian Tech evidenzia l'impatto degli algoritmi sulla nostra società
di PIER LUIGI PISA
Che cos’è l’intelligenza artificiale? È la capacità dei computer,
attraverso sofisticati algoritmi, di analizzare dei dati, apprendere da essi e poi prendere delle decisioni
simili a quelle che prenderebbe un essere umano. Gli algoritmi, insomma, sono i veri ingranaggi delle IA che
utilizziamo ogni giorno. A volte senza nemmeno rendercene conto. Sono algoritmi quelli usati dai social network,
per esempio, quando ci suggeriscono un post che non provenga dai nostri contatti. Una foto su Instagram, per
esempio. E c’è un algoritmo alla base del funzionamento di Spotify, quando ci propone una canzone che potrebbe
piacerci e che magari non abbiamo mai ascoltato. Questo accade perché l’intelligenza artificiale ha studiato le
nostre abitudini e ci “raccomanda” un contenuto simile a quello che solitamente gradiamo. Accade anche a casa,
in tv, quando Netflix o Prime Video ci mostrano film o serie che potrebbero interessarci. Ma anche quando Alexa
ci fornisce la risposta giusta: è grazie agli algoritmi, infatti, che l’assistente di Amazon riesce a capirci e
a “trovare le parole” con cui rispondere.
Non è un caso, insomma, se proprio agli algoritmi - e all’impatto che hanno avuto sulla vita
degli italiani - è dedicato l’ultimo Osservatorio Hi-Tech realizzato da Swg per Italian Tech, l’hub Gedi
dedicato alle nuove tecnologie e all’innovazione. I risultati di questo studio, discusso anche in uno degli incontri de “La Repubblica delle Idee”, moderato da Riccardo Luna, evidenziano un’elevata confidenza degli italiani con gli algoritmi.
Molti di loro, una percentuale pari all’83% degli intervistati, sa - almeno in linea generale -
che cos’è un algoritmo. E sono in tanti ad averne una percezione positiva. Per il 46% gli algoritmi sono
“ingegnosi alleati”. Per il 22%, invece, “fedeli servitori”. Si diffonde insomma l’idea che strumenti come
ChatGpt, Bard e Bing - le principali intelligenze artificiali generative capaci di produrre scritti e immagini
come farebbe un uomo - possono essere d’aiuto alla produttività di chi le usa. E non un nemico da combattere.
83
%
degli italiani dichiara di sapere almeno in generale di che cosa si tratta quando si parla di algoritmi
85
%
degli intervistati attribuisce un ruolo positivo all’algoritmo nel settore scienza
45
%
delle persone pensa che questa rapida e profonda mutazione del mercato del lavoro sia un’occasione
67
%
degli intervistati crede che un miglioramento delle sue competenze in chiave tecnologica e digitale
migliorerebbe la sua prospettiva lavorativa
57
%
degli intervistati pensa che l’utilizzo dell’algoritmo sul mercato del lavoro sia positivo in relazione
ai ritmi e ai carichi di lavoro
Questo discorso vale soprattutto per il futuro del lavoro. Il 74% degli intervistati da Swg
ritiene che gli algoritmi aumenteranno la “Produttività, l’efficienza e l’organizzazione del lavoro”. Il 49%,
invece, è preoccupato dall’impatto negativo che potrebbero avere su “Salari e livelli retributivi”. Insomma,
l’IA ci ruberà il lavoro? Gli italiani ascoltati da Swg, su questo, sono abbastanza divisi. Le loro risposte
fanno intuire quali siano, invece, le professioni più a “rischio di rimpiazzo”: banchieri, addetti al controllo
qualità, commessi, agenti di viaggi e cassieri. Tra coloro che corrono un rischio minore, stando al pensiero
comune, ci sono invece ingegneri, idraulici ed elettricisti, operai edili e operai metalmeccanici. Appare
evidente che i lavori manuali siano considerati “intoccabili”.
Ognuno, tuttavia, dovrebbe tenere a mente le parole di Jensen Huang,
co-fondatore e Ceo di Nvidia, azienda che ha superato la valutazione di mille
miliardi di dollari proprio puntando sui chip per l’intelligenza artificiale: “In futuro l’IA non ci ruberà
il lavoro, ma lo farà qualcuno che sarà in grado di usarla meglio di noi”. Huang ha rivolto queste
parole, come monito, a una platea di laureandi. Proprio i più giovani ritengono gli algoritmi insostituibili: il
76% degli intervistati, appartenenti alla cosiddetta “Gen Z”, pensa che rinunciarci “comporterebbe la perdita di
troppe conquiste importanti”.
Sia i giovani, sia i senior, sono tuttavia preoccupati dal fatto che l’IA possa diventare fuori
controllo, vale a dire che possa prendere decisioni al posto nostro (51%) o diffondere informazioni false sul
nostro conto (50%). Il 46% dei partecipanti al sondaggio va addirittura oltre, verso la fantascienza: è
preoccupato che le macchine possano “prevedere i pensieri”. Se un intervistato su due è convinto che gli
algoritmi, nel complesso, “ci miglioreranno la vita”, è anche vero che dal sondaggio Swg emerge una percentuale
alta - il 50% - legata alla “percezione di ostilità”.
Non aiutano, a tal proposito, i numerosi allarmi che sono stati diffusi negli ultimi mesi dai maggiori esperti di IA, che chiedono al più presto norme e codici di condotta da applicare a un addestramento potenzialmente “selvaggio” dell’intelligenza artificiale. Nonostante questo, lo studio Swg per Italian Tech evidenzia una percezione fortemente positiva del ruolo che gli algoritmi giocano nella società. Si pensa che aiutino la scienza (85%), in particolare, e poi la logistica e i trasporti (82%), la medicina (81%) e il contrasto al crimine (78%). Non tutti invece sono convinti dell’effetto positivo che gli algoritmi potranno avere sulla scuola, sui social e sul mondo dell’informazione.
Una produzione
Coordinamento editoriale Annalisa D'Aprile - Illustrazioni Paula Simonetti Grafica Eva Csuthi (Accenture MediaTech) - Grafici Claudio Campanella (Accenture MediaTech) Sviluppo Angel Patricio Susanna (Accenture MediaTech)