La smentita di Andy Stone, portavoce di Meta, lascia un po’ il tempo che trova: “È falso”, ha risposto a un articolo postato su Twitter da un misterioso (ma seguitissimo) account di notizie finanziarie.
Il pezzo, pubblicato da The Leak, rivelava che il re è nudo. E cioè che Mark Zuckerberg sarebbe stato pronto a lasciare la guida della pachidermica holding fondata come Facebook ormai 18 anni fa nei dormitori di Harvard. Si può lasciare un gruppo che si è fondato, costruito a propria immagine e somiglianza? Certo che sì: le vicende di Bill Gates e, con altri esiti e su scala inferiore, la rocambolesca storia di Adam Neumann di WeWork (giusto per citare un paio di casi agli antipodi) lo provano.
L’articolo cita una fonte interna al gruppo, spiegando che la decisione sarebbe stata presa da Zuckerberg in persona. Del resto, le pressioni non sarebbero mancate, specialmente negli ultimi mesi e in particolare dopo la diffusione della più recente trimestrale: utili più che dimezzati (4,4 miliardi di dollari rispetto ai 9,2 dello stesso periodo dell’anno precedente) e ricavi in calo con relativo tracollo della capitalizzazione, con 65 miliardi persi nel giro di poche ore dalla diffusione dei dati finanziari. Il vero problema, oltre allo stagnante mercato della pubblicità, al pessimo quadro macroeconomico globale e agli ostacoli frapposti da player come Apple alla raccolta dei dati degli utenti, è però intimamente intrecciato alla visione di Zuck per il prossimo futuro. Sì, esatto: quella del metaverso.
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L’unità Reality Labs che lavora su questo, e cui è stato ovviamente accordato il giusto tempo di ricerca in perdita, sta drenando più risorse del previsto: ha perso 9,4 miliardi di dollari nel corso del 2022 con entrate irrisorie per il gruppo (285 milioni), legate per esempio alle vendite inferiori del previsto del visore Quest 2. Il punto è che il metaverso è diventato, agli occhi degli azionisti e degli investitori, una sorta di referendum su Zuckerberg: se credi al primo continui anche ad avere fiducia nel secondo, e viceversa. Per questo la posta è altissima e in fondo l’indiscrezione di The Leak non è apparsa particolarmente sorprendente. Date le dimensioni di Meta, un gigante che fattura 118 miliardi di dollari l’anno, il 2023 sembrerebbe ancora un anno accettabile per una exit strategy non troppo dolorosa. Al contrario, più si continua sulla scommessa del metaverso, almeno secondo le cifre che il fondatore intende impiegarvi, più la situazione si avvita. Legando Zuckerberg al passaggio più importante della storia della sua creatura.
Non c’è in fondo da tornare troppo indietro nel tempo: la lettera aperta di Brad Gerstner, il 51enne fondatore e CEO del potente fondo Altimeter Capital, che ha in portafoglio centinaia di milioni di dollari di azioni Meta, parlava chiaro: “Meta ha bisogno di ricostruire la fiducia con gli investitori, i dipendenti e la comunità tecnologica per attrarre, ispirare e trattenere le persone migliori del mondo. In breve, Meta ha bisogno di mettersi in forma e tornare a focalizzarsi” sui fronti che conosce meglio e su cui guadagna palate di soldi. Insomma: meno metaverso (con la proposta di mantenere il budget dedicato sotto i 5 miliardi l’anno), meno spese e più concretezza.
Una bella fetta di chi mette i soldi nella società sarebbe dunque contrario a investimenti così massicci sul metaverso (che Zuckerberg vorrebbe addirittura raddoppiare) e, considerando come e quanto cambierebbero volto al gruppo senza creare un dollaro di profitti, si oppone ormai in chiave quasi filosofica, di principio, a quei piani tutti schiacciati sul lungo se non lunghissimo periodo.

Se sul fronte dei risparmi qualche risposta è arrivata col recente piano di tagli al personale (11mila persone nel mondo, il 13% della forza lavoro internazionale), sul fronte più squisitamente strategico la notizia circolata e poi smentita sembrerebbe investire Zuckerberg alla radice: difficile rimangiarsi tutto quello che è stato fatto e detto nell’ultimo anno senza, per assurdo, produrre negli investitori un’ulteriore perdita di fiducia. L’unica strada, a questo punto, sarebbe quindi ritirarsi a vita filantropica e passare la mano. Finora, tutti gli storici fondatori delle realtà nel corso del tempo acquisite da Meta hanno lasciato Menlo Park: Kevin Systrom e Mike Krieger di Instagram, dove Zuck ha messo il fedelissimo Adam Mosseri, poi Jan Koum e poco dopo Brian Acton di WhatsApp e infine la direttrice operativa e braccio destro di Zuckerberg per 14 anni, Sheryl Sandberg, appena lo scorso giugno.
La vecchia guardia è ormai rappresentata solo dal metasognatore Zuck, che nelle prossime settimane si gioca un bel pezzo del suo futuro.