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L'idea di Metta, direttore scientifico di IIT: "In Italia presto una Robot Valley"

L'idea di Metta, direttore scientifico di IIT: "In Italia presto una Robot Valley"
Il direttore scientifico dell’Istituto italiano di Tecnologia riflette sul ruolo delle IA nel futuro tecnologico. Racconta delle innovazioni nate dai laboratori della val Polcevera, dove nascerà un polo di aziende di robotica
6 minuti di lettura

Giorgio Metta, direttore scientifico dell’Istituto italiano di tecnologia di Genova, era a Rimini al We Make Future festival per parlare di trasferimento tecnologico, cioè di come la ricerca arrivi a generare prodotti interessanti per il mercato, di startup nate dai laboratori della Val Polcevera, che punta a diventare una “robot valley” grazie a uno degli “ecosistemi dell’innovazione” nati grazie ai finanziamenti del Pnrr. E delle applicazioni del futuro della robotica e della computazione made in Italy, che interessano il lavoro in fabbrica così come le protesi e nuove soluzioni biomedicali. Propone una società fatta dagli istituti di ricerca per fare breccia nel mercato. Ma al papà del robottino iCub, ormai un’icona della robotica e dell’Iit, non si poteva non iniziare col chiedere un commento alla notizia shock di un dipendente di Google che ha lanciato l’allarme: “L’intelligenza artificiale sta diventando senziente”.

Dottor Metta, cosa ne pensa?
"Ne parlavamo di recente a un evento con Luciano Floridi. La domanda è nata perché è un argomento che attira molto. La risposta che ci siamo dati è che In Google ci sono 300 mila dipendenti, e ce n'era uno che voleva farsi notare. Leggevo un'intervista dell'Economist a Douglas Hofstadter, un decano dell'Intelligenza artificiale. Diceva: “Se fai una conversazione con una di queste macchine nuove e sofisticate, può anche sembrare che dietro ci sia qualcosa, soprattutto se mantieni il discorso su un percorso più o meno ragionevole. Ma avete mai provato a chiedere a uno di questi software quanti hamburger ci vogliono per fare un cumulonembo? Le risposte sono assurde, la macchina non capisce che gli stai chiedendo qualcosa che non vuol dire nulla. E risponde comunque”. Dietro non c'è sicuramente un sistema che capisce la domanda che viene fatta. Nonostante siano fantastici e funzionino molto bene e ci si possano fare un sacco di cose interessanti".

C'è all'orizzonte questo tipo di domanda?
"Il problema tecnicamente noi non ce lo poniamo. Non si sta nemmeno lavorando in quella direzione. Lo scopo che ci stiamo dando è fare della buona ingegneria, avere cose che funzionino per risolvere problemi. Ma per quanto qualcuno ci provi, siamo lontani da uno studio sistematico per esempio del nostro cervello e del sistema cognitivo con lo scopo di trasferirlo negli algoritmi. Lo vediamo dal fatto che il modo in cui si fanno le cose riguarda tipicamente la "forza bruta". Non ci preoccupiamo nemmeno di quanto consuma una macchina che impara a rispondere alle domande. Il nostro cervello consuma 30 watt grosso modo, questi calcolatori costano decine di milioni solo di energia elettrica".

 

iCub non la chiamerà mai papà?
"La strada è piuttosto lunga e soprattutto è un problema complicato sia di neuroscienza che di intelligenza artificiale. Può essere che per sbaglio possa dire qualcosa di questo tipo ma sicuramente non c'è dietro quella comprensione del mondo che abbiamo noi. Sarebbe necessario ripensare a come la stiamo progettando. Ci deve essere un'architettura, degli elementi, come quella del nostro cervello, e magari un corpo. La nostra missione è quella di arrivare a soluzioni per risolvere dei problemi che abbiano un significato per l'umanità. Nel nostro piano strategico ci sono tre missioni: sostenibilità, salute e invecchiamento della popolazione. Che significa assistenza e aiuto in casa, anche con i robot".

Parliamo di vette dell’AI e di Google. In Italia stiamo perdendo un'occasione?
"Penso che ci sia un problema. Forse non è ancora persa, e magari il Pnrr una mano ce la dà ad aggiornare l'infrastruttura, avere maggiore capacità di calcolo, più persone che lavorano su questo tema... ma c'è da stare molto attenti, perché la competizione è molto dura e i vari Google e Facebook sono agguerritissimi. Hanno a disposizione grandi quantità di dati. Ma ne abbiamo anche noi, quelli delle filiere industriali, delle filiere produttive, di come si fanno le cose. Temo che dopo l'incentivo del Pnrr, se non si fa un piano più serio di mantenimento delle risorse e dell'investimento in alcune tematiche cruciali come l’AI, potrebbe diventare difficile rimanere al passo".

Torniamo allora nella Val Polcevera, cos’è l’ecosistema dell’innovazione appena approvato e come diventerà una “robot valley”?
"La Val Polcevera è dove è nato l’Iit. Negli ultimi anni ci siamo espansi verso il mare nella stessa valle. Qui ci sono i Leonardo Labs, Ansaldo energia, aziende che fanno superconduttori e macchine per la risonanza magnetica, altre con competenze di robotica. C'è un buon ecosistema, ci siamo chiesti: “Perché non potrebbe diventare una valle del robot, assieme alle altre aziende e alle nostre startup?". Abbiamo preparato un progetto con un contenuto importante di trasferimento tecnologico che ha come tematica principale robotica e AI, pensando a progetti che coinvolgano queste discipline e le aziende. Saremo noi, la Regione Liguria, l'Università di Genova e il Cnr, con gli Ircs San Martino e Gaslini. È uno degli ecosistemi dell’innovazione approvati con i fondi del Pnrr, con un budget di 110 milioni. Ma c’è un altro progetto appena approvato".

Quale?
"Abbiamo firmato pochi giorni fa a Roma con Draghi, i ministri Gelmini, Cingolani e Speranza, e il presidente Toti, l’accordo per un progetto bandiera: la costruzione di un ospedale computazionale. Un’investimento totale di oltre 400 milioni. I pazienti ovviamente saranno veri e li cureremo, avrà 500 posti letto, e un’area dedicata completamente alla ricerca: neuroscienze, genomica, robotica per riabilitazione, ancora è da definire con il progetto esecutivo. Ma sono tutte cose che facciamo. Porteremo lì aziende e investimenti e un giorno ci troveremo un super campus IIt con altri attori della ricerca e le aziende per fare innovazione. Ogni tanto bisogna pensare in grande".

Torniamo alla robot valley e a quello che nascerà da questo ecosistema. Cosa ci possiamo aspettare?
"Vedo due strade, una a breve termine: moltissima parte riguarda l’aiuto sul luogo di lavoro. Per prevenire infortuni e fare sforzi al posto della persona. Molto teleguidato e poco autonomo, però utile. Questo lo possiamo già fare, abbiamo un progetto con Inail per sollevare pesi. Le statistiche sugli infortuni mostrano che un 70% riguarda il sistema muscolo scheletrico, posture e sollevamento sbagliati. Qui c’è una componente di interazione uomo macchina che riguarda anche l’Intelligenza artificiale, con sensori tattili per misurare il contatto e la forza. A lungo termine invece si parla di robot inviati a casa di un anziano per assisterlo. È un problema difficile che richiede tanta intelligenza e destrezza, muoversi in maniera sicura in un ambiente umano dove ci sono tanti imprevisti, questo è un problema complesso quanto l'auto autonoma. Che infatti funziona e non funziona".

Musk diceva “non pensavo ci fossero tanti gradi di libertà” per la guida autonoma.
"Esatto, per tutte le variabili che possono esserci. In entrambe le situazioni ci si può far male, con un’auto ma anche con un robot che cade in casa o inciampa. È un problema di IA pesante, mi piacerebbe avere un progetto in questa direzione".

Qui a Rimini è tornato iCub, teleguidato da un operatore con sensori indossabili. Cosa gli farete fare nel futuro?
"Tecnologie nate da iCub sono quelle della guida a distanza con visore tridimensionale e l’esoscheletro che misura la posizione delle dita e dà un feedback tattile. In una fabbrica si può inviare un robot in un’area pericolosa guidandolo dalla scrivania. C'è chi studia come manipolare con una mano sofisticata gli oggetti. In ultima analisi non è detto che debbano somigliare a noi, ma per noi la forma umanoide era una sfida interessante. Poi ci sono ragioni scientifiche. Nello studio dell’intelligenza artificiale ci sono teorie che dicono che se vuoi sviluppare capacità di interazione con l’uomo, è necessaria una forma umanoide".

Sono già applicazioni sulla via di industrializzazione?
"Le mani prostetiche, nate dallo scambio di idee tra chi ha progettato la mano di iCub per esempio. Qualche azienda era interessata ma l’ha trovata complicata, così l’abbiamo semplificata. Abbiamo ottenuto la certificazione CE, speriamo che presto una startup la porti sul mercato".

Quante startup sono nate da Iit?
"Ne abbiamo 28 al momento. Ne nascono in continuazione. L'anno scorso ne sono nate quattro che hanno raccolto 16 milioni di investimento da finanziatori esterni".

Di cosa si occupano?
"Nova vido lavora sulla retina liquida artificiale. Nanoparticelle fotosensibili da iniettare su pazienti affetti da maculopatie. Funziona sulle cavie da laboratorio, l’obiettivo è testarle sull’uomo. Foresee biosystems realizza sensori per l’analisi di farmaci, anche su diecimila molecole in una sola volta, per capire se sono cardiotossici, che è la prima causa del fallimento nei test clinici. Lo screening permette un grosso risparmio di tempo e soldi. La terza, Corticale, è fantastica. Fa elettrodi per la corteccia cerebrale, come quelli sviluppati da Elon Musk. Ma questa ha 1024 punti di misura e l’amplificazione dei segnali. Al primo anno ha già ordini dal mondo della ricerca, c’è una fame incredibile di questi dispositivi. L'ultima è una startup di combinazione farma digitale. Si chiama Iama Therapeutics, deriva da una ricerca in cui si è capito che da una serie di patologie del  neurosviluppo si ha uno sbilanciamento dei livelli di cloro nel cervello. Si è trovato un farmaco che ristabilisce le funzioni cognitive legandosi a una proteina nel cervello ma anche a una simile che è nei reni. Le dosi per il cervello sono alte e alla fine ti rovina i reni. I nostri hanno usato una serie di metodi computazionali per disegnare una molecola attiva nel cervello e non nei reni. Una cosa pazzesca".

Ha parlato di finanziatori esterni. Come si finanzia l’Iit?
"Lo Stato ci dà 91,3 milioni all'anno. Se sembrano tanti, basta fare una ricerca sul budget delle Università. E poi 44 milioni di fondi esterni, per ogni euro che arriva dallo Stato 50 centesimi li abbiamo trovati noi. Un ricercatore per avere così tanti soldi extra deve impegnarsi in continuazione, scrivere progetti, prepararli e costruirli".

Qualche tempo fa ha lanciato l’idea delal Alessandro Volta Society. Cos’è?
"Stiamo bussando a varie porte per capire se quello che sta succedendo col Pnrr possa diventare il seme di una sorta di Fraunhofer-Gesellschaft, (la società tedesca che raccoglie decine di istituti di ricerca ndr) che non a caso è nato col piano Marshall. È una rete di istituti dove esiste uno scambio interno con una missione molto applicativa. E dove si fa trasferimento tecnologico come missione principale, proprio come l’Iit. Nel modello del Fraunhofer un terzo dei finanziamenti lo mette lo Stato e i due terzi devono arrivare dall'industria e dalla progettualità esterna. Non siamo lontanissimi secondo me Iit è la dimostrazione che si può fare. Bisogna trovare gli interlocutori che ascoltino e come bilanciare il problema italiano del "non mi metto insieme perché ho interessi personali".