Rugby. Addio ad Alfredo Gavazzi, ex presidente Fir, in Azzurro l’acuto contro il Sudafrica
La rivalità sportiva e politica con il Veneto, fondò il suo Calvisano a vent’anni e lo portò a conquistare scudetti e ad epiche finali, vinte e perse, contro Benetton, Petrarca e Rovigo
di Fabrizio Zupo
Se ne va fiaccato da mesi di malattia Alfredo Gavazzi presidente della Fir per due mandati, protagonista di accese rivalità con il Veneto ovale sia in campo e sia per politica sportiva, quasi al calor bianco con la Benetton e poi con i club radunati sotto l'ombrello dei Dogi nella gestione dell'era Celtica iniziata dal suo predecessore Dondi.
Assolutamente duri gli scontri elettorali contro Zatta, presidente del Treviso, candidato nel 2012 e contro Innocenti, presidente dell'allora Civ nel 2016, poi l'epilogo nella corsa per un terzo mandato andata in frantumi come la sua maggioranza che si schierò con il figlioccio Paolo Vaccari e che comunque perse. Questo l'uomo pubblico.
La verità del campo racconta di un uomo di 72 anni appassionato di rugby come pochi. Da ragazzino giocava a calcio, poi a vent'anni nel 1970 assieme a Gianluigi Vaccari (padre dell'ala azzurra Paolo) e ad altri pochi amici fondò il Calvisano, negli anni in cui in Lombardia era forte il Brescia e doveva ancora nascere l'era Milan. Anzi fu dalle ceneri dei rossoneri che si fusero con il Calvisano, che crebbe la forza dei gialloneri. Sino a diventare la squadra da battere nelle finali scudetto prima dalla Benetton poi, negli ultimi dodici anni, spesso con Petrarca e Rovigo.
Amava lo sfottò, come quando il giorno dopo una finale vinta con i bersaglieri, si fece trovare in piazza per leggere i giornali e bere il caffè.
Aveva l'atteggiamento del patron verso il suo Calvisano, non poteva essere diversamente per un club da lui fondato, in cui ha giocato 13 anni portandolo dalla serie D all'allora A. Giocava pilone e tallonatore: "Ma iniziai da mediano di mischia" raccontò un giorno "poi iniziando ad irrobustirmi passai in prima linea". Inoltre nell'avventura era coinvolto tutto il paese di Calvisano, i rugbisti seduti ai scranni di sindaco, assessori o consiglieri comunali, compresa la moglie e i figli poi succedutisi alla gestione del club.
Fece fatica a staccarsene da presidente Fir, la visione Calvisano centrica rimase, attraverso un'Accademia di stanza a Remedello ed altro.
Da presidente Azzurro, pur con un esordio vincente contro Tonga al Rigamonti di Brescia, ha vissuto la lunga striscia di sconfitte nel 6 Nazioni da quell'acuto a Edimburgo nel 2015 quando la Nazionale di Parisse centrò la seconda vittoria esterna contro la Scozia. E durata sino alla fine della sua gestione, interrotta pochi mesi fa in Galles.
I due Mondiali (2015 in Inghilterra e 2019 in Giappone) non hanno regalato la gioia di un passaggio ai quarti. Ha creduto a Jacques Brunel (pur non scelto da lui) che nel 2013 con le vittorie casalinghe su Francia e Irlanda e quelle sfiorate a Londra e l'anno dopo a Parigi, sembrava aver dato una svolta definitiva al destino azzurro di Cenerentola.
La sua prima scommessa fu Conor O'Shea che gli regalò il momento migliore nel novembre 2016 a Firenze con la vittoria sul Sudafrica, una delle potenze del Sud.
Poi contattò Rob Howley, con O'Shea ancora in sella, ma il gallese pronto a prendere in mano l'Italia nel gennaio 2020 fu travolto dalla sua dipendenza dalle scommesse di gioco. Aveva provato a portare Eddie Jones, ma l’australiano con tutto il suo staff aveva richieste da superstar. E l'Azzurro finì in mano a Franco Smith.
Ha creduto sempre nelle Accademie in cui investì ulteriormente ingaggiando Aboud, l'uomo sotto al quale i talenti più giovani hanno iniziato a gemmare dopo due lustri di delusioni. E che sono la spina dorsale del gruppo di Kieran Crowley.
L’Italia Femminile giocherà con il lutto al braccio nel quarto di finale mondiale di sabato mattina (ore 5.30) contro la Francia. Disposto anche un minuto di silenzio in tutti i campionati italiani nel fine settimana. Il suo funerale (forse sabato 29) inizierà sul prato dello stadio di Calvisano.
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