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Tumore alla prostata: come sono cambiate diagnosi e cura

(Crediti: pasja1000 da Pixabay)
(Crediti: pasja1000 da Pixabay) 
Negli ultimi anni si sono affinate le tecniche di imaging tramite risonanza magnetica e sono aumentate le possibilità terapeutiche. La direzione è sempre più quella di un approccio personalizzato
3 minuti di lettura

In Italia il tumore alla prostata è ancora il più diffuso fra gli uomini. Rappresenta il 18,% di tutti i tumori diagnosticati e nel 2020 ci sono stati più di 36 mila nuovi casi. Nonostante il grado di incidenza, comunque, negli ultimi anni è stata stimata una riduzione del 15,6% del tasso di mortalità, grazie soprattutto al miglioramento delle tecniche diagnostiche, allo sviluppo di nuove terapie mirate e alla capacità di eseguire indagini personalizzate, prevedere l'evoluzione della malattia e adeguare la strategia di cura al paziente.

A fare il punto su Medscape è Guillaume Ploussard, urologo ed oncologo presso La Croix du Sud Clinic di Tolosa, in Francia, e direttore del sottocomitato per il cancro alla prostata dell'Associazione Francese di Urologia (AFU).

Diagnosi di precisione con risonanza magnetica e biopsie mirate

Oggi siamo in grado di ottenere immagini di risonanza magnetica (MRI) molto precise ed è migliorata la capacità dei radiologi di interpretare tali immagini. "Questo - spiega Ploussard su MedScape - ci ha reso più bravi nell'individuare i tumori severi da una parte, e quelli che non necessitano trattamenti dall'altra".

Ma non solo: L'imaging con MRI è raccomandato nei casi di sospetto cancro alla prostata perché fornisce indicazioni precise sulle dimensioni e sull'estensione del tessuto interessato, due parametri fondamentali per determinare l'area bersaglio per la biopsia mirata, l'esame necessario per la diagnosi. Si ottiene così una distribuzione spaziale della malattia.

Alle biopsie mirate, si aggiungono però sempre le biopsie sistematiche, che consistono nel prelievo di una dozzina di campioni. Si stima che questa procedura consenta di individuare dal 5 al 10% dei casi di cancro che passerebbero inosservati con una biopsia mirata. Il miglioramento delle tecniche di imaging ha ridotto le sovradiagnosi e ha cambiato anche il percorso di follow-up di chi non deve fare terapie ma essere sottoposto al monitoraggio attivo. In questo caso, in passato le biopsie venivano eseguite ogni anno o 2 anni, mentre oggi non vengono eseguite se il tumore appare stabile alla risonanza magnetica.

Il test genetico

Un altro strumento che si è rivelato fondamentale negli ultimi anni sia per personalizzare i trattamenti dei pazienti sia per valutare il rischio di ammalarsi di una persona sana è il test genetico. Grazie all'analisi genetica, infatti, siamo in grado di individuare mutazioni e difetti che da un lato predispongono alla malattia e dall'altro rendono la malattia più sensibile a determinati trattamenti, come gli inibitori di PARP.

Circa il 5 per cento dei casi di tumore alla prostata è dovuto a mutazioni genetiche ereditarie dei geni Brca 1 e 2 e Hoxb13, dice l'esperto. Per questo, ai pazienti con storia familiare di cancro alla prostata si consiglia di sottoporsi al test per le mutazioni genetiche: in uno studio in parte italiano pubblicato all'inizio di quest'anno, è stato osservato che gli uomini portatori di una mutazione nel gene Brca2 hanno un rischio più che doppio rispetto ai non portatori di sviluppare il cancro alla prostata prima degli 80 anni di età.

"I reparti di oncogenetica - sottolinea Ploussard - sono sovraccarichi di lavoro, ma si stanno adattando a questo aumento della domanda".  Ma quale percorso per la diagnosi precoce dovrebbero seguire queste persone? "Per chi ha più di 40 anni e presenta una di queste mutazioni - dice l'oncologo - la strategia per la diagnosi precoce prevede il test dell'antigene prostatico specifico (PSA) e l'esame rettale digitale, da ripetere su base annuale o ogni 2 anni".

Per quanto riguarda il PSA per la popolazione generale, invece, bisogna fare una precisazione: ormai non si parla più di screening di tumore della prostata, ma di una diagnosi precoce adattata al rischio individuale, da condurre in uomini ben informati.

Terapie ormonali di ultima generazione

Per il tumore in stadio metastatico, le terapie ormonali hanno lo scopo di ridurre il livello di testosterone, l'ormone maschile che stimola la crescita delle cellule tumorali. "Negli ultimi anni sono stati fatti molti passi avanti nello sviluppo di terapie ormonali di nuova generazione, in grado di attaccare direttamente le cellule tumorali", prosegue Ploussard.

Questi trattamenti sono essenzialmente inibitori dei recettori degli androgeni, che agiscono impedendo alle cellule tumorali di utilizzare specifici metaboliti che promuovono la loro crescita. Anche per i pazienti con carcinoma prostatico in stadio avanzato resistente alla castrazione (ovvero resistente all'eliminazione degli ormoni maschili attraverso la chirurgia o con la terapia ormonale) ci sono nuove terapie per la terza linea di trattamento che hanno mostrato la loro efficacia. Parliamo sia di chemioterapie, sia di radionuclidi sia di Parp inibitori come olaparib, per chi presenta la mutazione genetica BRCA 1/2.

I nuovi radiofarmaci

Fra le terapie del futuro, vi sono sicuramente i radiofarmaci. Si tratta di isotopi radioattivi legati a molecole in grado di riconoscere le cellule tumorali. Una volta somministrati, questi isotopi servono sia per rivelare le metastasi sia per colpirle, rilasciando radiazioni in modo mirato.

"Per il momento, la terapia con radionuclidi non è stata approvata, e il suo uso è limitato ad alcuni centri", dice Ploussard. "Ma l'approvazione per il trattamento del cancro metastatico resistente alla castrazione è prevista a breve e sono in corso altri studi per valutare l'uso del trattamento nelle fasi iniziali della malattia. I risultati sono molto incoraggianti".

Obiettivo qualità di vita

Gli effetti collaterali del tumore alla prostata - e delle cure - spesso alterano o compromettono la qualità della vita dei pazienti, intaccando a volte la funzionalità urinaria e sessuale. Oggi la qualità di vita è un parametro che viene preso molto più in considerazione e i trattamenti sono evoluti di conseguenza.

Ci sono stati miglioramenti nella chirurgia grazie al crescente utilizzo della robotica e allo sviluppo di una radioterapia più precisa, che ha un ruolo importante nel tumore della prostata, sebbene se ne parli poco. Questi progressi, facilitati dai miglioramenti nella risonanza magnetica, hanno chiaramente ridotto i casi di disfunzione urinaria ed erettile, conclude Ploussard. Ma sebbene meno frequenti, queste complicazioni devono comunque essere tenute sempre presenti quando si discute delle possibili terapie con il paziente.