Lega, l’espulsione di Boron indigna i lombardi vicini al patriarca Bossi
Polemica accusa di Grimoldi. Finanziamento: molti eletti si stanno affrettando a saldare gli arretrati
Filippo Tosatto
Fabrizio Boron con il presidente della Regione Veneto Luca Zaia
«Fabrizio Boron attaccava i manifesti a Padova negli anni ’90, subiva le minacce di Casarini e dei centri sociali, partecipava al Parlamento di Mantova, non è mai mancato a Pontida, è in Lega da trent’anni… espulso per cosa? Neanche la dignità di spiegargli il perché. Che schifo.
Prendiamo mercenari da tutti i partiti, gente che cambia casacca ogni sei mesi, e poi riserviamo epurazioni sommarie a chi è fedele da decenni. Paura dei congressi, certo, ma anche assoluta ammissione di debolezza.
È la fine politico-elettorale di questa Lega». Parole e musica di Paolo Grimoldi, non proprio un Carneade in seno al movimento padano: già segretario del partito lombardo, ora il veterano coordina il Comitato Nord voluto da Umberto Bossi per contrastare la linea “tricolore” di Matteo Salvini.

L’allusione polemica corre al consigliere regionale cacciato dalla commissione Disciplina e garanzia di via Bellerio, che gli contesta il mancato contributo economico al partito e l’appoggio elettorale a un candidato avversario.
Boron è il militante più noto ma non l’unico incorso nell’ira dei probiviri milanesi: undici, ad oggi, le espulsioni comminate nelle province di Padova, Treviso, Verona e altre, si apprende, sarebbero imminenti.
Una mossa luciferina per indebolire l’opposizione al commissario veneto Alberto Stefani? «Io non ho sollevato alcun caso né chiesto l’allontanamento di iscritti» ribatte quest’ultimo «Le segnalazioni al federale sono partite dal territorio».
Ovvero dalle sezioni, dai sindaci coinvolti e, nel caso trevigiano, dai dirigenti leghisti.
Certo, i castigati hanno annunciato ricorso ma in presenza di “condotta sleale comprovata” la condanna definitiva appare scontata. Urticante la questione finanziaria: «Il prossimo anno ci sono le Europee e una valanga di Comuni al voto, servono risorse per la campagna elettorale, è vergognoso che un gruppo di istituzionali si tiri indietro infischiandosene delle regole», il j’accuse salviniano sottoscritto al consiglio federale dal governatore Luca Zaia, convinto fautore dell’autofinanziamento quale antidoto all’invadenza dei donatori privati.

Nel mirino gli inadempienti che ricoprono incarichi pubblici (lautamente) retribuiti: nel caso dei consiglieri di Palazzo Ferro-Fini, ad esempio, il disavanzo ammonta a 370 mila euro tra parziali ritardi e assenza di versamenti tout court.
Ma la sferzata del Capitano in felpa non è caduta nel vuoto: in queste ore – si apprende – numerosi eletti “smemorati” stanno correndo ai ripari affrettandosi a staccare un assegno mentre è in corso un controllo minuzioso sulla congruità dell’obolo versato da parlamentari, amministratori ed eurodeputati veneti… Che altro? Sul versante congressuale, spicca la “pausa di riflessione” di Roberto “Bulldog” Marcato, solitamente loquace e combattivo. Il beniamino della base, in corsa per la segreteria, è sottoposto alle pressioni contrastanti dei supporter: chi spinge per un attacco frontale a Stefani e chi auspica un compromesso in extremis che eviti la frattura.
L’impressione, tuttavia, è che il duello a distanza abbia varcato la soglia del non ritorno: improbabile un passo indietro dei due sfidanti, lo sguardo si rivolge al terzo incomodo, il trevigiano Franco Manzato, spalleggiato dal patriarca Gian Paolo Gobbo. Il tenace Bulldog gli ha parlato, invitandolo all’accordo e alla desistenza pena il successo in carrozza dell’avversario comune. Lui ha ascoltato e annuito vagamente. Ma il dado non è ancora tratto.
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