La veneta che guida lo studio Onu sul clima. «Adattarsi non basta più. Ora ridurre i gas serra»
Martina Angela Caretta ha appena 36 anni, un bimbo di 13 mesi, ma è stata scelta tra gli esperti mondiali per governare il dipartimento che dovrà assicurare l’acqua al pianeta.
Sergio Frigo
Martina Angela Caretta, veneta, 36 anni, coordina la sezione dedicata all’acqua dell’ultimo rapporto dell’Ipcc, il Gruppo intergovernativo delle Nazioni Unite
sul cambiamento climatico
In Italia non se n’è accorto quasi nessuno, ma a coordinare la sezione dedicata all’acqua dell’ultimo rapporto dell’Ipcc, il Gruppo intergovernativo delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico (premiato con il Nobel nel 2007, assieme ad Al Gore), è stata una giovane studiosa veneta, Martina Angela Caretta, 36 anni, originaria di Montecchio Precalcino, nel Vicentino: peccato che l’organizzazione dell’Onu la indichi come svedese e non come italiana.
La studiosa, che si definisce “geografa femminista che ricerca le interazioni uomo-ambiente, indagando in particolare le dimensioni umane dell’acqua”, è infatti docente all’università di Lund, uno degli atenei più antichi del Nord Europa, e cittadina svedese. Questo anche se si è laureata a Padova, nel 2008 in Cooperazione allo Sviluppo.
«Sono un prodotto del programma Erasmus» spiega Martina Angela, che è sposata e mamma di un bimbo di 13 mesi «che mi ha consentito di approfondire a Lund le tematiche ambientali che mi interessavano di più. E dopo la laurea triennale, visto che non volevo proseguire con il percorso di cooperazione, sono tornata in Svezia, dove ho conseguito a Lund la laurea specialistica in scienze ambientali e sostenibilità e poi ho avuto accesso a un dottorato sull’acqua e il clima».
Ma come si arriva, a soli 36 anni, a gestire una delle sezioni più importanti del rapporto sul clima dell’Ipcc, guidando (assieme alla collega indiana Aditi Mukherji) il lavoro di 60 studiosi di tutto il mondo, con 5000 commenti e oltre 4000 referenze?
«Per quanto riguarda l’età, qui in Svezia occupare posizioni professionali significative a 36 anni è la norma, e non un’eccezione. Certo, dietro c’è tanto lavoro, un bel portafoglio di pubblicazioni sul tema specifico, nel mio caso con un focus sull’uso e la gestione dell’acqua, con i suoi impatti umani e sociali in particolare sulle donne e il sud del mondo.
Ma ho alle spalle anche alcune collaborazioni con l’Unesco e la Banca Mondiale, e cinque anni di lavoro come assistente all’Università americana della West Virginia, prima di tornare a Lund come professore associato nel 2021.
Poi la Svezia mi ha nominata nella sua rappresentanza all’Ipcc, quindi la segreteria dell’organismo mi ha scelta per coordinare il gruppo di valutazione sull’acqua e il clima assieme alla collega indiana, in rappresentanza del Nord e del Sud del Mondo».
Il rapporto dell’Ipcc non è il frutto di una ricerca autonoma, ma analizza e valuta tutte le ricerche realizzate nel mondo sui diversi aspetti del cambiamento climatico. Quali sono i risultati di questo lavoro nelle questioni legate all’acqua? Lei ne ha parlato in un capitolo scritto con la collega Francesca Spagnuolo del libro “Il valore dell’acqua”, curato da Marco Zupi e Claudio Maricchiolo ed edito da Donzelli...
«Le evidenze scientifiche del report sono a prova di bomba, e dimostrano con un livello di certezza inequivocabile l’impatto del cambiamento climatico sull’acqua e dunque sulla vita delle persone, in particolare appartenenti ai gruppi umani più vulnerabili, fra cui anche le donne. Il riscaldamento globale è in atto, e per alcuni aspetti già irreversibile. Oltre 4 miliardi di persone, il 52% della popolazione globale, sono considerate a rischio di insicurezza idrica».
Parliamo di siccità, ma anche – specularmente – di inondazioni. Quali sono i rispettivi effetti?
«Nel mondo dagli anni ’70 il 44% dei disastri più gravi è stato causato da inondazioni. Si calcola che il rischio di alluvioni raddoppierà con un innalzamento della temperatura da 1,5 a 3 gradi, colpendo in particolare i paesi del centro e del Sud-est asiatico, con effetti prevedibili a tutti i livelli: basti pensare che in questi paesi e in Africa l’insicurezza idrica comporterà una riduzione del Pil tra il 6 e il 12%».
E per quanto riguarda la siccità, che sembra interessare soprattutto il Mediterraneo?
«Si prevede che questo fenomeno peggiorerà per gravità, durata, frequenza e aree colpite: sempre con l’innalzamento da 1,5 a 3 gradi raddoppieranno i periodi di siccità, quindi ci sarà un’ulteriore diminuzione dei flussi fluviali e del livello dei laghi.
Il tutto mentre l’intensificazione dell’estrazione delle acque sotterranee e la diminuzione della rigenerazione di acque dolci porteranno a infiltrazioni di acqua salata, danneggiando pesantemente la qualità dell’acqua e la produttività dell’agricoltura, che oggi assorbe l’80% del consumo idrico.
Ma entro il 2050 l’insicurezza idrica interesserà oltre 440 milioni di persone residenti nella aree urbane nel mondo. È evidente che tutto questo causerà anche importanti tensioni geopolitiche nell’area, tra paesi e popolazioni che si disputeranno l’uso dell’acqua».
Quali iniziative dovremmo intraprendere per contrastare questi fenomeni?
«Attualmente ci si sta attivando soprattutto sul versante dell’adattamento, con realizzazione di arginature, predisposizione di bacini di raccolta dell’acqua piovana, modifiche nei sistemi di irrigazione e nelle colture; non esistono soluzioni univoche, il loro effetto varia molto a seconda del contesto.
Sicuramente però l’adattamento non sarà possibile all’infinito, anche perché molti ecosistemi stanno già arrivando al limite del collasso.
Bisogna invece intraprendere con maggior decisione la via della mitigazione, e qui l’unica soluzione è una drastica riduzione delle emissioni dei gas serra, sapendo che anche iniziando adesso gli effetti positivi non si avranno prima di cinquant’anni.
Purtroppo vediamo, anche qui in Scandinavia, che a livello politico le cose vanno in direzione opposta, con le destre che hanno vinto le elezioni indirizzate ad esempio a ridurre gli incentivi per le auto elettriche. In generale le opinioni pubbliche occidentali sono restie ad assumersi le loro responsabilità nel cambiamento climatico, anche se i comportamenti quotidiani sono sempre più improntati alla sostenibilità».
Tornerà in Italia prima o poi?
«L’altr’anno ci avevo fatto un pensiero: ho fatto l’accreditamento per diventare associato, ma non c’erano posizioni disponibili. Di recente a Padova ho tenuto una lezione al Dipartimento di geografia; naturalmente mi sento spesso e a volte mi incontro con familiari e amici, coi quali parlo prevalentemente in dialetto, ma sono contentissima di stare in Svezia, per le opportunità professionali che mi sono state date, e la grande conciliabilità lavoro-famiglia».
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