Pfas, il dossier shock di Greenpeace: «In Veneto esiste una terra dei fuochi»
L’associazione mette insieme 15 anni di monitoraggi e decisioni: «Il mancato intervento delle autorità ha creato aree di sacrificio»
Albino Salmaso
Una manifestazione di protesta delle Mamme No Pfas
l giudizio è da incubo e lo solleva Greenpeace: in Veneto c’è una “terra dei fuochi” come in Campania. Sono i 56 comuni avvelenati dai Pfas della Miteni, con l’epicentro nella “zona rossa” che si estende da Trissino a Legnago e Montagnana. Ci sarà mai un vero risanamento ambientale per questi 350 mila abitanti, che dagli anni Settanta assumono cibo e acqua contaminati, con gravi rischi per la salute?
Nel cuore del Nordest, c’è la stessa emergenza dell’Ilva di Taranto e dei mille km quadrati a cavallo delle province di Caserta e Napoli, dopo l’interramento di rifiuti tossici imposto dai clan della camorra. Giuseppe Ungherese, portavoce di Greenpeace, ha inviato un dossier ai ministeri dell’Ambiente e della Sanità, alle Regioni Veneto e Piemonte, in cui traccia il bilancio di 15 anni di monitoraggi. Il suo commento è un atto d’accusa: «L’area più a rischio per i Pfas riguarda il Po e dopo tutti gli studi e gli allarmi scientifici, non sono mai stati adottati provvedimenti a tutela della salute pubblica. L’unico divieto riguarda la pesca nella zona rossa del Veneto. Il mancato intervento delle autorità vìola il principio della non discriminazione e crea le aree di sacrificio: il caso Miteni-Pfas è assimilabile all’Ilva di Taranto e alla terra dei fuochi in Campania».
E se a Trissino, Montecchio, Lonigo e Montagnana le mamme e i sindaci sono sul piede di guerra per i ritardi della bonifica della fabbrica, in Parlamento a Roma giace nel cassetto il disegno di legge per ridurre a zero lo scarico industriale delle acque.
Cosa dice il dossier di Greenpeace? Si parte dal 2007, quando il professor Michael McLachlan, docente di Chimica dei contaminanti dell’Università di Stoccolma, lanciò l’allarme: dalle sue analisi, emerse che il Po risultava il più inquinato tra i sette grandi corsi d’acqua europei presi in considerazione, a causa dei composti perfluoroalchilici. L’anno dopo scattano i primi prelievi di sangue a persone di Brescia e Roma per cercare Pfoa e Pfos, vale a dire gli acidi perfluorottanoico e perfluorottansolfonato. I valori nel sangue sono elevati: 3, 5 nanogrammi per grammo di Pfoa e 6, 3 ng/g di Pfos. Nel frattempo uno studio dell’Efsa di Parma dimostra che i Pfas di nuova generazione C4 e C6 possono risalire dal terreno fino alla verdure e finiscono sul piatto dei consumatori. Latte, uova, pesci e vegetali sono gli alimenti più a rischio, come certificato da Francesca Iacoponi e Francesco Cubadda dell’Iss. La svolta matura nel 2013 quando il team di Irsa-Cnr consegna al ministero dell’Ambiente il dossier sui bacini fluviali da cui emerge che sono inquinate le fonti potabili a Vicenza, Verona e Padova: i veleni eterni dei Pfas arrivano dal rubinetto e si pagano in bolletta. Una beffa che rovina la salute.
In Veneto scatta l’offensiva, grazie anche al ruolo svolto da Domenico Mantoan: il top manager della sanità affida le analisi allo Zooprofilattico di Lombardia ed Emilia Romagna e avvia lo screening di massa nella “zona rossa”. Ci vuole poco a capire che l’inquinamento nasce a Trissino, dai fanghi industriali nascosti nel torrente Poscola: sono lì da 30 anni e ora a Vicenza si sta celebrando il processo ai manager di Miteni che ha chiuso i battenti. Ci sarà mai giustizia?
Nel dossier Giuseppe Ungherese si sofferma sulla sicurezza alimentare: le prime analisi del sangue agli allevatori dimostrano valori medi di 159 nanogrammi (ng) per millilitro. A Montagnana si toccano i 750 ng in un’intera famiglia di agricoltori. E i pozzi d’irrigazione mostrano picchi di 15 mila nanogrammi litro di Pfoa. Così il 21 marzo 2016 si vieta l’uso dell’acqua. Scatta poi un secondo monitoraggio sull’uva da vino, sul fegato e i muscoli delle carni bianche e rosse, e ancora sui foraggi e la frutta: le albicocche di Lonigo diventano un boccone avvelenato. L’Efsa e l’Iss fissano nuovi limiti per la sicurezza alimentare e si scende a 4,4 ng/kg di peso corporeo a settimana e si ammette che la “esposizione avviene tramite l’acqua e i mangimi”. Da Roma a Bruxelles. Il 24 agosto 2022 l’Ue chiede di valutare la presenza di 27 Pfas in tutte le matrici alimentari. Resta l’interrogativo di Greenpeace: come mai nessun governo in Italia e in Europa ha mai adottato provvedimenti efficaci?
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