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Paghe da fame, abusi e contratti irregolari L’inferno dei lavoratori del settore cultura in Veneto

“Mi Riconosci” pubblica le prove dello sfruttamento. Da Padova parte la riscossa della categoria di tutta la regione, che ora chiede diritti e dignità

Cristiano Cadoni
3 minuti di lettura
La presentazione dell'indagine sui lavoratori del settore cultura in Veneto 

Splende sui depliant patinati e sui manifesti che esibiscono meraviglie e riconoscimenti Unesco, si illumina davanti al grande pubblico dei concerti e dei teatri, vanta incassi in costante aumento perché il turismo ha ripreso quota dopo la pandemia e perché i biglietti costano sempre di più.

Il rovescio della medaglia

Ma il mondo della cultura e dello spettacolo nasconde il più classico rovescio della medaglia: chi ci lavora - e sono per tre quarti donne, laureate e con alti livelli di specializzazione - porta a casa stipendi da fame, ha contratti precari o comunque inadeguati al ruolo e alla formazione, ha pochi diritti (e tra questi non c’è quasi mai il riconoscimento della maternità) e spesso, come se non bastasse, subisce anche mobbing.

È uno scenario desolante che per anni è rimasto nell’ombra e le proporzioni del quale sono rimaste sconosciute anche a chi opera in quel settore.

Almeno fino alla pandemia, quando lo show si è fermato del tutto - niente spettacoli, musei chiusi, cultura in freezer - la crisi è esplosa, i lavoratori hanno cominciato a parlarsi e a organizzare forme comuni di protesta.

Padova, in questo senso, è stata il capoluogo del Veneto, per le manifestazioni di piazza, per l’organizzazione della protesta: qui è stato “strappato” il primo accordo con il Comune per nuove regole nei bandi; qui l’amministrazione ha concesso un finanziamento a sostegno del settore che ripartiva; qui, più di recente, è nato il Forum arte e cultura che chiede nuove regole per i bandi e per i pagamenti.

E qui, al circolo Nadir, si sono ritrovati ancora una volta i lavoratori, per la presentazione di un’indagine promossa dall’associazione “Mi Riconosci” sulle condizioni di lavoro nel settore culturale in Italia e nel Veneto e per un nuovo confronto sulle strategie da mettere in campo per superare le condizioni attuali, caratterizzate da salari miseri e abusi.

Le cifre del comparto cultura

L’indagine sul lavoro nel settore

Contratti, condizioni e prospettive del settore culturale sono state oggetto di un’indagine commissionata da “Mi Riconosci” - associazione di operatori del settore culturale - e pubblicata dalla casa editrice DeriveApprodi in un volume che si intitola”Oltre la grande bellezza”.

«Sono state raccolte 2.656 risposte su scala nazionale, 313 nel Veneto», spiega Francesca Tomei. «La nostra regione per certi aspetti è messa anche peggio del resto d’Italia. L’utilità dell’indagine è proprio quella di portare alla luce questa situazione e creare una consapevolezza fra i lavoratori».

Spiccano, fra tanti dati, due aspetti. Il contratto di settore è utilizzato pochissimo, solo il 3,7% nel Veneto (in Italia il 7%), mentre ai lavoratori della cultura vengono imposte i contratti multiservizi (quelli per gli addetti alle pulizie, per esempio) o dei servizi fiduciari (vigilantes) oppure contratti del commercio.

E i compensi - quando ci sono o non sono in nero - non permettono di mettere insieme un reddito che superi la soglia di povertà. Sono, infatti, nella maggior parte dei casi, paghe inferiori ai 10 euro l’ora.

Ecco perché l’80% dei lavoratori - ha segnalato ArtWorkers - è costretto ad avere un secondo impiego. Eppure, nonostante queste condizioni, più della metà dei lavoratori non è è iscritta al sindacato, il 45% non è sicura di voler scioperare e il 60% non ha mai scioperato.

Un passo avanti

Lo scrittore Massimo Carlotto, ospite della serata, ha evidenziato come questa situazione sia rimasta troppo a lungo nascosta, in tutti gli ambiti, perfino nel settore dell’editoria. E quanto ora sia importante parlarne.

«La pandemia ci ha messo a dura prova ma ci ha dato anche una spinta », ha sottolineato Jacopo Pesiri, per le Maestranze dello Spettacolo. «Abbiamo cominciato a parlarci, a capire che abbiamo problemi comuni. Il lavoro di indagine fatto da “Mi Riconosci” è prezioso e ci aiuta ad accendere le luci. L’obiettivo, che a Padova abbiamo già sperimentato e che sempre qui continueremo a inseguire, è costruire un modello nuovo di lavoro che sia trasparente, regolare.

E poi esportare quella matrice in tutta la regione. Iniziamo a far cambiare le cose qui. Con il Forum arte e cultura siamo già a un buon punto, anche perché la porta è aperta per tutti, non ci sono inviti, chi vuole partecipare può farlo».

Il sociologo Lorenzo Zamponi, a margine dell’analisi dei dati ha messo in evidenza come evidentemente sia giustificata la richiesta di un salario minimo che emerge con forza dalle interviste fatte ai lavoratori, il 51% dei quali dichiara di non guadagnare abbastanza per vivere autonomamente. Ma una svolta è necessaria anche per superare una realtà segnata da appalti al ribasso, partite Iva coatte, contratti collettivi inadeguati, compensi in nero o, in molti casi, compensi a zero e promesse di visibilità che non portano a niente.

Il percorso da intraprendere

I soldi sono tanto, ma non tutto. Il settore chiede una riforma che parta dal basso e che, secondo i lavoratori, deve iniziare da una revisione delle regole e dai bandi, che devono essere trasparenti e accessibili a tutti.

L’esempio virtuoso, in questo senso, è stato proprio il bando “Padova riparte”, lanciato dal Comune a marzo del 2021 con un budget di 200 mila euro e modalità di accesso condivise con i lavoratori del settore.

«Ma non può funzionare così solo in emergenza», sostengono gli operatori e i professionisti della cultura, «Quella dev’essere la normalità». E quella deve diventare la “matrice” made in Padova con cui scardinare un sistema vecchio e pieno di ombre, prima su scala locale, poi a livello regionale. Per arrivare infine, sperano tutti, a una rivoluzione del settore su scala nazionale.

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