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Il film "Il frutto della tarda estate"

 

Cinema al 100 per cento, ecco le recensioni dei film in sala dal 23 marzo

Tre film discreti e uno nettamente sopra gli altri nelle uscite di questa settimana. “Delta” è un film di frontiera, tra interessi locali e ideali naturalistici, ma con stile da western. Discussioni e sincerità ne "Il frutto della tarda estate". "Vera" è un riuscito docufilm su Vera Gemma, donna in cerca di se stessa, tra centro snob e periferia tamarra. Imperdibile è, su tutti, "Armageddon Time" di James Gray

Marco Contino e Michele Gottardi
4 minuti di lettura

DELTA

Regia: Michele Vannucci

Cast: Alessandro Borghi, Luigi Lo Cascio, Emilia Scarpati Fanetti, Denis Fasolo

Durata: 105’

Il film "Delta"

 

“Delta” è un film di frontiera. Più che un neo-western, ha un incedere bellico, da guerriglia. Elicotteri, fiumi guadati, nascondigli, tute mimetiche. Siamo sulle foci del Po, terre fortemente identitarie, dure, spossanti.

Osso (Luigi Lo Cascio) guida una squadra di volontari che cerca di preservare l’ecosistema ma deve tenere a bada una sorella impulsiva e alcuni pescatori che vorrebbero usare le maniere forti contro i bracconieri venuti dall’est. Sono arrivati dal Danubio, spinti da Elia (Alessandro Borghi) che, in passato, ha abitato questo lembo tra mare e terra che si confonde nella nebbia, entra nelle ossa e inzuppa l’anima.

Lo scontro tra culture diverse è inevitabile, così come quello tra Osso ed Elia, in un corpo a corpo che lascia dietro di sé morte e dolore.

Alla sua seconda prova da regista, Michele Vannucci racconta una storia di contrasti a più livelli (pescatori e bracconieri, difesa identitaria e cambiamento, impaludamenti e aneliti di fuga), lasciando che l’ambientazione diriga i personaggi.

Il “Delta” del Po del titolo diventa, così, un altro protagonista (proprio come accadeva nel film di Claudio Cupellini “La terra dei figli”), imprimendo all’opera una efficace caratterizzazione di genere (che è, poi, uno dei marchi di Groenlandia, la factory di Matteo Rovere, che produce il film).

“Delta” (interamente girato tra Emilia-Romagna e Veneto: Comacchio, Goro, Mesola, Codigoro, Argenta, Ravenna, Ferrara, Polesine Camerini, Porto Tolle e a Santa Maria in Punta alcune delle location scelte) lavora molto, e bene, sui luoghi e sui corpi, da cui assorbe fisicità, perdendo, però, qualcosa nell’approfondimento dei personaggi il cui vissuto (quello di Osso e della sorella, ma anche quello della barista attratta da Elia) resta sfuocato e affidato a vecchie fotografie, con qualche schematismo di troppo.

“Delta” resta, nel complesso, un film riuscito, capace di sintonizzarsi con un modo di fare cinema lontano da tracce già segnate. Borghi, dopo “Le otto montagne”, si chiude ancora in un ruolo ispido mentre Lo Cascio riesce a non portare all’esasperazione la vendetta di un uomo spiaggiato, controllando quella recitazione urlata che, in qualche occasione, lo ha portato a interpretazioni un po’ troppo sopra le righe. (Marco Contino)

Voto: 6,5

***

IL FRUTTO DELLA TARDA ESTATE

Regia: Erige Sehiri

Cast: Abdelhak Mrabti, Fedi Ben Achour, Gaith Mendassi, Hneya Ben Elhedi Sbahi, Leila Ouhebi

Durata: 92’

Il film "Il frutto della tarda estate"

 

Donne che parlano. Come nel film di Sara Polley (Women Talking), la parola (soprattutto quella femminile) è il centro di gravità del primo film di finzione della regista tunisina Erige Sehiri, “Il frutto della tarda estate”, distribuito in sala dalla padovana Trent Film.

Mentre l’estate volge al termine, donne e uomini (giovani e meno giovani) trascorrono la giornata a raccogliere i fichi in un frutteto del nord della Tunisia, sotto lo sguardo attento del giovane proprietario. Si discute di amore, di libertà, di desideri, tra confessioni e melodie berbere.

Attraverso quelle parole, Sehiri offre il ritratto di un Paese che sta cambiando nonostante le resistenze di una società in cui la supremazia maschile è ancora forte.

La regista, nata a Lione da genitori tunisini, sceglie di raccontare la complessità della realtà del Paese africano facendo in modo che i suoi personaggi diventino uno strumento narrativo del vissuto di una società multiforme, schivandone la drammatizzazione che pure, di tanto in tanto, affiora, dalle parole e dagli sguardi.

L’operazione non evita, del tutto, una sorta di “impigrimento” della riflessione, seppure in linea anche con il luogo e con il clima in cui si svolge l’azione che, non a caso, è un intrico di alberi resistenti, ma allo stesso tempo fragili, in un momento (la fine dell’estate), in cui un velo di malinconia sembra colorare il cielo non prima, però. di un finale vitale. Un inno alla emancipazione femminile che schiude alla speranza e a una nuova primavera. (Marco Contino)

Voto: 6,5

****

VERA

Di Tizza Covi, Rainer Frimmel

con Vera Gemma

Durata: 115’

Il peso di chiamarsi Gemma, per Vera, sempre associata al famoso padre, Giuliano Gemma, si riversa sulla vita più intima, al punto, per aggirare il mito della bellezza, da cercare di assomigliare a una trans. La sua vita è oziosa e superficiale in una Roma ricca e slegata dalla realtà, oziosa. Lei stessa veste firmato, fa ricorso alla chirurgia estetica per ingannare i segni del tempo e si fa compulsivamente dei selfie che poi posta sui social. Una vita effimera fino al giorno in cui fa un incidente con la macchina e ferisce un bambino di otto anni, nella periferia romana di San Basilio, e questo scontro/incontro cambierà il suo percorso.

Stringendo un legame con il bambino e in modo particolare con il padre e la nonna, pensa di fuggire dalla superficialità che la circonda. Ben presto, però, si rende conto come anche in questo ambiente possa essere solo uno strumento. Premiato a Orizzonti, a Venezia 2022, il film è un ritratto accurato e accorato di Vera Gemma, con uno stile in docu-fiction, che alcuni hanno definito pasoliniano, più certamente uno sguardo neorealista che mette a nudo falsità di un mondo corrotto e culturalmente appiattito, con falsi miti cui la stessa Vera si sottomette senza volerlo. I registi filmano con sguardo da entomologo, registrando senza dar giudizi morali. (Michele Gottardi)

Voto: 6.5

****

ARMAGEDDON TIME – IL TEMPO DELL’APOCALISSE

di James Gray

con Anne Hathaway, Jeremy Strong, Anthony Hopkins, Banks Repeta e Jaylin Webb

Durata: 115’

Il film diretto da James Gray è una storia di formazione ambientata nel 1980 nel distretto del Queens, a New York, mentre Ronald Reagan viene eletto alla presidenza degli States e nel Paese dilaga ancora il razzismo. Protagonisti due ragazzini che diventano subito amici, sui banchi di una scuola pubblica, Paul e Johnny, uno bianco ed ebreo e l'altro nero, che cercano di elevarsi socialmente. I genitori di Paul, però, decidono di allontanare Paul da Johnny e mandarlo in una scuola prestigiosa, frequentata solo da bianchi.

Di fronte a intimidazioni e vessazioni il ragazzo non reagisce e tace anche quando il suo amico viene insultato dai compagni, ma sarà il nonno Aaron a insegnargli come anche gli ebrei venivano vessati e cacciati, e soprattutto a imparare a reagire. Film dai toni morbidi, ma fermi, dai temi fintamente adolescenziali, ma universali, basato su una bella scrittura e, soprattutto. dalla presenza di un cast di grandi attori, “Armageddon Time” è una bella sorpresa nel panorama internazionale e ricorda ai sostenitori della superiore democrazia dell’impero americano che le differenze di classe sono ovunque e che l’adolescenza è tutt’altro che spensierata. Specie se non hai una famiglia forte alle spalle, il babbo idraulico e la mamma fragile, o, nel caso del ragazzino nero, non hai neanche quelli. A salvare Paul, a differenza di Johnny, c’è il nonno e che nonno, Anthony Hopkins, ma soprattutto la forza della Storia e della tradizione, che porta alla reazione e alla consapevolezza di sé. E come gli dice il padre, in un colloquio accorato, tra padre e figlio, «odio i privilegi, ma se capitano a tuo favore, prendili per difenderti». Resisterà o perderà la propria identità il giovane Paul? Forse la scelta non è così importante, e infatti il finale resta aperto: comunque vada il film denuncia la perdita di identità e di valori di una fascia anagrafica di cittadini americani, i quarantenni di oggi, che ha dimenticato le battaglie per i diritti civili a favore di assalti al Campidoglio e psicosi complottiste. O forse solo di un adattamento situazionista, per salvarsi dal peggio (Michele Gottardi).

Voto: 7.5

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