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Pfas, la mappa dei siti inquinati Veneto: ecco la zona rossa

In Europa sono 17 mila le aree contaminate, 1.600 delle quali in Italia Nel nostro Paese siamo maglia nera con Piemonte, Lombardia e Toscana

3 minuti di lettura
ANSA (ansa)

Se la Miteni è la “centrale nucleare” dei Pfas che ha avvelenato 350 mila persone che attendono giustizia dal processo di Vicenza, in Europa ci sono altri 17 mila siti contaminati, 1.600 dei quali in Italia.

E il Veneto con il Piemonte, la Lombardia e la Toscana risulta al top dell’emergenza alla pari di Zwijndrecht in Belgio e di Chemours di Dordrecht nei Paesi Bassi.

Ma anche la Sardegna e la Sicilia sono a rischio a causa delle raffinerie di petrolio. Sotto la lente sono tutti i fiumi del Nord-Italia: Adige, Po, Brenta, Roncajette, Piave, Sile, Tagliamento e i canali d’irrigazione. E poiché sboccano in mare, anche la laguna è contaminata dai veleni eterni che si stanno posando come un velo sull’ambiente, modificando i cicli biologici vegetali e animali.

A scorrere la mappa on line, Vicenza guida la classifica con 60 siti a rischio, seguita da Padova con 54 e poi da Verona con 25, Venezia con 22, Rovigo con 20 e Treviso con appena 14. Ma basta cliccare su Godega di Sant’Urbano o su Farra di Soligo con il codice It05gw758 per capire che non esiste un’area free-Pfas: l’unica zona totalmente immune è quella di Belluno e delle Dolomiti che non compare nelle tabelle.

Chi avesse dei dubbi può consultare on line la mappa interattiva dell’inquinamento realizzata da Wired, che ha elaborato i dati del Forever Pollution Project, un’inchiesta condotta da 17 quotidiani guidati dal francese Le Monde, mentre il partner italiano è l’autorevole rivista Scienze.

La mappa di Le Monde nasce dall’incrocio di diverse fonti ottenute con la normativa Foia, che tutela l’accesso ai dati, e raccoglie i dossier elaborati dal 2003 al 2023 dai team scientifici e dalle agenzie ambientali. Due gli step: nei 17 mila siti contaminati i valori di Pfas e Pfoa sono superiori a 10 nanogrammi litro. Il secondo livello definito “hotspot” riguarda invece 2.100 località, 300 delle quali in Italia: qui si parte da 100 nanogrammi/litro. A questi si aggiungono altri 21mila siti nei quali la contaminazione è solo presunta.

È bene ricordare che nel 2015 il ministero della Salute ha stabilito che “le concentrazioni nelle acque destinate a consumo umano di Pfba fino a 500 ng/l e Pfbs fino a 500 ng/l non configurano rischi per la salute umana”.

Ma la Regione Veneto, sull’onda dell’emergenza Miteni, con la delibera 1590 del 3 ottobre 2017, ha abbassato drasticamente i livelli di Pfoa+Pfos portandoli a 90 ng/l. Per quanto riguarda i valori della somma degli altri Pfas, essi sono indicati in un massimo di 300 ng/l. Per rientrare nei limiti, ai quattro acquedotti della “zona rossa” tra Vicenza, Verona e Padova sono stati applicati i filtri a carbone attivo e il governo Gentiloni ha stanziato 80 milioni di euro per rifare le reti delle condutture e pescare acqua non inquinata. I lavori proseguono con dei ritardi e nelle scuole i bambini continuano a bere solo la minerale. L’ultimo fondamentale passo per la prevenzione riguarda poi l’approvazione della legge sugli “scarichi zero” nei cicli industriali: il testo fermo al Senato attende di tornare in commissione Ambiente per completare le audizioni.

Ciò che balza agli occhi consultando on line la mappa, è la vastissima diffusione dei Pfas e non potrebbe essere diversamente visto che stiamo parlando di una catena di 4.700 molecole trasformate nei prodotti d’uso quotidiano: vestiti, saponi, strumenti sanitari, confezioni di cibo, bicchieri in carta riciclabile, padelle antiaderenti con il teflon, vernici, finestre, biciclette.

Per non parlare dei cellulari e dei computer i cui schermi sono interattivi grazie alle nanoparticelle perfluoroalchiliche e così i vetri antiproiettile e le schiume antincendio utilizzate dai pompieri per domare le fiamme. Ma anche gli impianti di lavaggio delle auto producono Pfas che si sono diffusi nell’acqua, nel cibo, nel sangue, nell’ambiente. Hanno tutti la stessa caratteristica: non si biodegradano e quindi sono eterni.

Cosa emerge dal Veneto? La mappa idrografica si interseca con le zone industriali sorte all’ombra di ogni campanile.

Se l’epicentro è Trissino con la Miteni, una “bomba” tossica nascosta sotto il torrente Poscola, non resta che allargare l’orizzonte ad Arzignano e alla valle del Chiampo, dove i Pfas sono legati al ciclo delle pelli: in consiglio regionale Cristina Guarda ha depositato un’interrogazione e sollecita interventi per arginare il nuovo allarme. A rischio anche il torrente Astico, da Piovene Rocchette a Schio e Malo. A Bassano la “spia rossa” si è accesa sul Brenta con 9 siti nell’Alta padovana tra Cittadella, Fontaniva e Carmignano mettendo a rischio il bacino idrico più importante del Veneto. L’hotspot più pericoloso coinvolge l’Adige, che già a Rovereto segnala tracce di sostanze perfluoroalchiliche, riscontrate poi a Nogara, Montagnana, Anguillara fino alla spiagga di Rosolina.

Insomma, nemmeno il mare si salva: a Scardovari si tratta di difendere l’itticoltura di qualità mentre nella laguna di Venezia e del Cavallino il campanello d’allarme è suonato alle foci del Sile e del Piave.

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