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In Veneto torna l’allarme per l’aviaria. Contagi in aumento tra gli uccelli selvatici

Terregino: «La situazione è migliorata rispetto a un anno fa». Ma si teme il passaggio dell’infezione dagli animali all’uomo

laura berlinghieri
2 minuti di lettura

L’analisi in un laboratorio per individuare il contagio da aviaria

 

È nuova allerta aviaria. Conseguenza dell’aumento dei contagi tra gli uccelli e i primi casi di trasmissione dell’infezione ad alcune specie di mammiferi. Non è esattamente una novità, già nel 2021 e nel 2022 si era assistito a un enorme aumento dei casi, anche nella nostra regione, soprattutto tra le specie avicole. E il timore è proprio quello di un balzo indietro a un anno fa. Rispetto ad allora, quando erano stati individuati 317 focolai all’interno degli allevamenti, «la situazione è migliorata» fa sapere Calogero Terregino, direttore del Centro di referenza per l’influenza aviaria dell’Istituto Zooprofilattico delle Venezie. Ma l’allerta resta alta.

Dal settembre 2022 ad oggi, i casi individuati in Italia sono 79, dei quali 19 tra i gabbiani, 13 tra le alzavole e 10 tra i germani, per fare gli esempi più rappresentativi. E una consistente parte di questi si concentra proprio in Veneto. «La diffusione del ceppo H5N1 HPAI tra gli uccelli selvatici è in aumento in Italia, come nel resto del mondo» conferma Terregino, «Nel nostro Paese, i casi interessano principalmente Veneto, Lombardia, Emilia-Romagna e Friuli-Venezia Giulia». Fermandosi a quest’ultima regione, ad esempio, appena una manciata di giorni fa alcuni pescatori hanno rinvenuto nelle acque della laguna di Marano due cigni morti. Uccisi dall’aviaria, come avrebbe detto lo Zooprofilattico, dopo avere sottoposto la coppia di animali al tampone.

La preoccupazione investe un po’ tutta Europa. «Ci sono segnali che l'influenza aviaria ad alta patogenicità stia portando a un aumento della mortalità tra i gabbiani comuni in Francia, in Belgio, in Germania e nei Paesi Bassi» sostiene il Dutch Wildlife Health Centre. In Italia, per il momento, non sono stati registrati casi tra i mammiferi. Mentre, nel resto d’Europa, i contagi sono aumentati nel pollame, tra i mammiferi selvatici e sono persino state registrate alcune infezioni tra gli animali domestici.

E la preoccupazione vera è tutta per il cosiddetto “salto di specie”, vale a dire il passaggio dell’infezione dagli animali alle persone. Era successo nel 1996, in un allevamento di oche in Cina, quando il virus aveva infettato anche alcune persone in diverse parti del mondo. Una circostanza che non si è più ripresentata – l’infezione dall’animale all’uomo è molto rara, finora si è registrata in aree molto povere, in condizioni di forte promiscuità e scarsa igiene –, ma che è comunque un orizzonte che preoccupa.

Gli studi condotti finora dallo Zooprofilattico indicano un’evoluzione solo parziale del virus, che per il momento sarebbe incapace di causare un contagio inter-umano. Ma è una circostanza che, specifica la stessa struttura di Legnaro, fotografa la situazione attuale, quindi nulla vieta che il futuro possa essere differente. «Il Ministero della Salute ha evidenziato che la situazione attuale costituisce un rischio costante per gli allevamenti di volatili domestici, considerato che alcune zone ad elevata densità avicola coincidono con le aree dove attualmente si rilevano casi di HPAI» conferma Terregino, parlando della condizioni in Veneto, «Come Centro di referenza, stiamo monitorando l’evoluzione dell’epidemia su tutta Italia con estrema attenzione, per evitare che si verifichi una situazione come nell’inverno 2021-2022».

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