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In Veneto inquinamento fuorilegge con riposte troppo deboli

Nei dati Legambiente l’intero territorio regionale conosce pagelle da bocciatura. Si salva solo Belluno. I rimedi ci sono ma è palesemente in ritardo un’Italia ancora troppo infatuata dell’asfalto

Francesco Jori
2 minuti di lettura

Una manifestazione contro l'inquinamento dell'aria. In Veneto poche risposte

 (ansa)

Un’aspirina per curare un tumore. Le domeniche a piedi entrate a far parte della liturgia urbana contro l’aria inquinata sono poco più di un effetto placebo contro un autentico cancro (80mila morti l’anno in Italia, maglia nera d’Europa assieme alla Polonia: dato della Società di Medicina Ambientale), a fronte di quanto emerge dal rapporto annuale di Legambiente, dal significativo titolo di “Mal’aria di città”; ricavato, è bene ricordarlo, dal più oggettivo dei parametri, e cioè i rilevamenti delle apposite centraline.

Da cui risulta che tre quarti dei centri urbani sono fuorilegge per le polveri sottili, e oltre otto su dieci per il particolato fine, rispetto agli obiettivi europei del 2030. Mancano solo sette anni per rispettarli, ma con i ritmi attuali a Padova ce ne vorrebbero almeno diciassette, a Treviso addirittura trenta.

Bastano già queste due ultime indicazioni per collocare il Veneto tra le aree più malconce del Paese: bocciatura peraltro confermata, anzi aggravata, dal fatto che la stessa Padova e Venezia sono al quarto posto in classifica per sforamenti delle polveri sottili (settanta giorni l’anno, il doppio del limite consentito).

Ma di fatto, l’intero territorio regionale conosce pagelle da bocciatura, con la sola eccezione di Belluno, “salvata” dall’aria di montagna. A conferma che in realtà il Veneto è solo il luogo terminale di quella gigantesca camera a gas che è la pianura Padana: condannata sì dalle caratteristiche geografiche, ma ridotta a una sorta di 41 bis ambientale dal venefico combinato disposto di traffico, riscaldamento, attività industriali ed agricole.

Una pena rispetto alla quale equivale alla classica ora d’aria per i carcerati la scelta di far lasciare l’auto in garage qualche domenica l’anno: inaugurata giusto cinquant’anni fa per la crisi petrolifera, e ripresa da qualche tempo, oltretutto a macchia di leopardo, tra chi lo fa e chi no anche tra località confinanti. Quasi che l’inquinamento dell’aria si adeguasse alla segnaletica stradale.

Certo è lodevole l’obiettivo di sensibilizzare un’opinione pubblica ancora troppo dipendente dal rapporto tra quattro ruote e lato B. Ma l’effetto è quello citato dell’aspirina, se poi è inadeguata l’alternativa offerta dalle istituzioni (governo, regioni, comuni) dal lunedì al sabato.

La risposta sta avvenendo “troppo lentamente”, come certificano i dati di Legambiente, che segnalano un ritardo abissale rispetto ai parametri fissati dall’Europa per il 2030: negli ultimi dieci anni, il tasso medio annuale di riduzione delle concentrazioni di polveri nell’atmosfera è stato solo del due per cento.

I rimedi sono arcinoti, a partire dal potenziamento del trasporto pubblico con treni, metropolitane (e qui va denunciata una volta di più la scellerata decisione della Regione Veneto di rinunciare al progetto SFMR), filovie e autobus elettrici; un fronte su cui è palesemente in ritardo un’Italia ancora troppo infatuata dell’asfalto.

Ma siamo indietro anche su piani più modesti, come gli abbonamenti integrati: la Germania, per dire, ha introdotto una tessera da 49 euro al mese sull’intera rete di trasporti regionali. A conferma che la risposta ai veleni dell’aria va data tutti i giorni. Prima di restare tutti a piedi: non solo di domenica, ma a tempo pieno.

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