Cinema al 100 per cento, ecco le recensioni dei film usciti giovedì 19 gennaio
Arriva in sala il faraonico “Babylon, firmato da Damien Chazelle con Brad Pitt e Margot Robbie sulla Hollywood degli Anni 20. “Io vivo altrove!”: il primo film da regista di Giuseppe Battiston profuma di favola e guarda al cinema di Carlo Mazzacurati. Un po’ commedia sentimentale un po’ film di rapina: “L’innocent” di Louis Garrel gioca con i generi, vitale e libero.
Marco Contino e Michele Gottardi
Babylon
BABYLON | IO VIVO ALTROVE! | L’INNOCENT
BABYLON
Regia: Damien Chazelle
Cast: Margot Robbie, Brad Pitt, Diego Calva
Durata: 183’
1926. Sulle colline di Los Angeles arranca un camioncino con un elefante diretto a un party di un celebre produttore cinematografico, un ricevimento sfrenato, forsennato ed esagerato, dove si incontrano Nellie, aspirante star, e il messicano Manny, collaboratore tuttofare del magnate del muto.
Il film di Damien Chazelle, che rende omaggio, ma anche critica fortemente quell’età dell’oro che fu il cinema degli anni Venti, è esattamente come il party d’apertura: sfrenato, forsennato ed esagerato.
Tutto è fuori misura in “Babylon”, dalla lunghezza smodata (oltre tre ore, con i titoli di testa vezzosamente dopo mezz’ora di proiezione) alle riprese (infinità di piani sequenza, di veloci carrellate da mal di mare, alternati a pochi primissimi piani), dal kitsch, cui il regista attinge a piene mani, alla volgarità dell’ambiente, sottolineata con maggior enfasi da letterali profluvi di vomito, sangue e cascate di escrementi animali (dell’elefante, giusto per capirne la dimensione).
Era necessario? Perché poi con questo stile e contenuti finisci per far passare il messaggio che altro che età dell’oro era l’Hollywood delle origini, un autentico puttanaio di drogati e mafiosi.
Molto mitologia e poca emozione quindi, e se il cinema è anche commozione, occorre aspettare l’ultima mezz’ora per coglierlo, quando Manny, trent’anni dopo, torna a Los Angeles ed entra in una sala per vedere “Cantando sotto la pioggia”, versione Stanley Donen, e finalmente il film evoca quell’immaginario che il cinema nutre, anche se in una sorta di visione kubrickiana stile “2001 Odissea nello spazio”, ci sciorina fotogrammi finali da Lumière e Méliès, ma anche Griffith, “Avatar” e Bunuel, musical e western. Troppo, o forse troppo poco.
In tutto il film aleggia un senso di tramonto di un’epoca, con i divi del muto (come il personaggio di Brad Pitt, Jack Conrad) incapaci di riciclarsi seriamente nel sonoro, diventando ridicoli, ma è tutto quel mondo ad apparire grottesco. Innamorato del jazz, il regista lo spara per tutto il film, ma Martin Scorsese (“New York, New York” ad esempio) ci ha insegnato come la musica debba essere protagonista assieme ai suoi interpreti, non debordare, con un montaggio non certo violento come quello di Chazelle, che purein “La La Land” aveva toccato corde sentimentali di tenera piacevolezza.
Qui invece tutto è strumentale alla negativa idea di fondo che il regista ha del mondo che tratteggia. Il film avrà anche molti estimatori e forse qualche Oscar. Ma l’operazione è davvero vacua e presuntuosa. (Michele Gottardi)
Voto: 4.5
***
IO VIVO ALTROVE!
Regia: Giuseppe Battiston
Cast: Giuseppe Battiston, Rolando Ravello, Teco Celio, Diane Fleri, Alfonso Santagata
Durata: 103’
Io vivo alttrove!
Fausto Biasutti (Giuseppe Battiston) è un cuorcontento: trova sempre il lato positivo e pratica una gentilezza antica, fuori dal tempo, nonostante la vita non gli abbia risparmiato le cicatrici.
Per caso, incontra un altro Fausto (Rolando Ravello), che sta ancora in casa con la madre, quiescente come una pianta di calendula: non cresce e non muore. Immobile. Quando il primo eredita un casolare in Friuli, nasce l’idea che può cambiare la vita: mollare tutto, trasferirsi nel piccolo borgo di Valvana e coltivare la terra.
I due Fausti, amici da poco ma anime gemelle da sempre, partono colmi di sogni e di buoni propositi, in uno slancio di autarchia alimentare, energetica e, in fondo, sentimentale. Ma la vita di campagna non è esattamente come se l’erano immaginata: gli abitanti del borgo (fatta eccezione per una giovane farmacista francese e un prete accogliente) sono ruvidi, la loro genuinità quasi inconciliabile con il pragmatismo locale, la terra un po’ indomita e i guai dietro l’angolo.
Il primo film da regista di Giuseppe Battiston – Io vivo altrove! - è una fiaba liberamente ispirata a “Bouvard e Pécuchet”, romanzo incompiuto di Gustave Flaubert, pubblicato postumo nel 1881, adattato dallo stesso regista e da Marco Pettenello. E la mano dello sceneggiatore padovano si sente tutta in quel passo da cinema gentile, che ha sempre al centro gli esseri umani, come nei film di Carlo Mazzacurati.
Ingenui (forse un po’ “mona” come li chiama spesso la vicina di casa con schiettezza contadina), i due Fausti si danno sempre del “lei”, litigano per chi deve accettare per primo le scuse, sembrano due alieni destinati a sbagliare e a cadere. Ma “forte non è colui che non cade, ma colui che, cadendo, si rialza”, come ricorda uno di loro, citando Goethe.
L’immaginario paese di Valvana (nella realtà Valle di Soffumbergo, una frazione del comune montano di Faedis, in provincia di Udine, chiamata anche il “balcone del Friuli” per i suoi panorami) diventa, così, il luogo della rinascita, irresistibilmente (come il titolo della canzone di Sylvie Vartan che suona da un vecchio jukebox) magnetico per i due protagonisti che, a forza di curarsi degli altri o di aggiustare cose, finiscono per rimediare alle loro vite fino ad allora immobili (o, persino, annientate), generando infiorescenze sconosciute.
Battiston disegna, in fondo, due novelli Don Chisciotte che vengono da esperienze diverse (uno fa il bibliotecario, l’altro legge i contatori del gas ma è “perito elettrotecnico di formazione”), eppure condividono una visione attraverso la desueta lente di ingrandimento della purezza. Forse non sanno riconoscere la pianta del luppolo (con esiti tragicomici) o si ostinano a far crescere i mirtilli là dove non possono attecchire. Ma loro ci provano. A vivere altrove. Magari in una realtà migliore. (Marco Contino)
Voto: 7
***
L’INNOCENT
Regia: Louis Garrel
Cast: Louis Garrel, Roschdy Zem, Anouk Grinberg, Noémie Merlant
Durata: 98’
Io vivo alttrove!
Abel (Louis Garrel) più che un figlio è, per la madre Sylvie (Anouk Grinberg), un padre o un fratello. Ne sopporta le bizze e, soprattutto, i frequenti ed effimeri innamoramenti.
Ma quando Sylvie gli annuncia il matrimonio con l’ex detenuto Michel (Roschdy Zem), appena uscito di prigione, Abel è assalito dall’ansia, convinto che il nuovo marito non sia affatto uscito dal giro della criminalità. Comincia, così, a pedinarlo con l’aiuto di Clémence (Noémie Merlant), un tempo migliore amica della moglie di Abel morta in un incidente, fino a scoprire la verità facendosi coinvolgere in un affare più grande di lui.
La quarta regia di Louis Garrel – L’innocent – ha un sapore di libertà. Prima di tutto in quella messa in scena “ibrida” che innesta la commedia sentimentale nell’heist movie, facendo uso di split screen, cesure nette e colori saturi che ricordano i film polizieschi degli anni ’70 e ’80.
Ma soprattutto nel lasciare a briglia sciolta gli attori che si lanciano con generosità nel plot, a volte un po’ goffo, del film, giocando spesso sulla dualità verità/finzione. Non solo “L’innocent” si apre con una sequenza di “recitazione nella recitazione” ma trova il proprio baricentro nella bellissima scena della tavola calda, quando la farsa rincorre l’autenticità dei sentimenti e viceversa in un disvelamento divertente e poetico allo stesso tempo.
E con un ribaltamento di ruoli finale (la mamma che, finalmente fa la mamma) dolce e sapido come una pregiata scatoletta di caviale iraniano. (Marco Contino)
Voto: 7
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