Veneto, terra d’acque che oggi paga dazio all’incuria e allo sfruttamento selvaggio
Territorio e fiumi, storia di un legame indissolubile fatto di scrittori e acque sognanti, terme e mestieri antichi, progresso che oltraggia il patrimonio
FRANCESCO JORI
Terra d’acque, il Veneto: come nessun‘altra in Italia. Terra di grandi fiumi: a partire dai due più lunghi della penisola, Po e Adige, che vengono a chiudere qui il loro corso sfociando in Adriatico; e facendo del Polesine una piccola Mesopotamia, peraltro ripetutamente martoriata nei secoli da disastrose alluvioni. Con il Po in particolare, chiamato dai greci Eridano e nobilitato dal mito di Fetonte immortalato da Ovidio: il figlio di Apollo che alla guida sconsiderata del carro del Sole precipita nelle acque del fiume vicino alla foce, a Crespino; paese che ancor oggi ne conserva il ricordo nello stemma comunale e nell’intitolazione della piazza principale. E ancora, per limitarsi alle principali arterie fluviali: Brenta, Bacchiglione, Sile, Piave, Livenza, Tagliamento… Cui si aggiunge una miriade di percorsi d’acqua minori ma comunque pieni di vita.
Una terra, il Veneto, disegnata dalla Natura in un autentico labirinto d’acque disteso tra Dolomiti e Adriatico, con un impatto che attraversa tutte le gradazioni: dai fiumi di origine alpina e prealpina quali Piave, Brenta, Astico, Muson, Monticano, irruenti al punto da lasciare pesantemente il segno, dall’antichità ad oggi, nell’intera fascia di bassa pianura distesa tra Verona e Venezia; alla placida serenità della fascia centrale delle risorgive, che ha il suo gioiello più autentico nel Sile, a partire dal “fontanasso dea coa longa”, e che nel ristretto triangolo compreso tra Castelfranco, Vedelago e Resana dà origine a ben quattro corsi (oltre al Sile, Dese, Merzanego e Zero). Ma anche preziose e salubri acque sotterranee, che affiorano in superficie dopo un lunghissimo percorso ipogeo, portando benessere e ricchezza: come quelle euganee, provenienti dai monti Lessini nelle prealpi, che dopo un tragitto di un’ottantina di chilometri emergono ad alimentare il bacino termale tra Abano e Montegrotto, il più grande d’Europa.
Patrimonio straordinario, dunque, che nei millenni ha plasmato la geografia fisica della regione, ma anche quella antropica fin dalle più remote origini: come testimoniano i tanti rinvenimenti di piroghe nel triangolo compreso tra Vicenza, Mestre e Chioggia con Padova al centro, lungo i corsi di Brenta e Bacchiglione; dei quali si può trovare significativa testimonianza nel piccolo ma prezioso museo di san Martino della Vaneza a Cervarese Santa Croce, nel Padovano. Primi, fondamentali mezzi di trasporto per consentire agli abitanti dei tanti piccoli insediamenti lungo i fiumi di allacciare contatti economici e culturali con altri mondi. E da lì in avanti, una corposa sequenza di utilizzo dei fiumi a sostegno di uno sviluppo sostenibile, prima che i transatlantici su asfalto dei Tir e il flusso ininterrotto delle quattroruote inquinassero in modo irreparabile l’ambiente.
Qui il ricordo corre soprattutto agli zattieri che scendevano rischiosamente Adige e Piave trasportando a Venezia i tronchi forniti dalla generosa montagna veneta, fondamentali per il funzionamento dell’Arsenale, la più grande fabbrica della Serenissima. Ma va anche ai barcari che con i loro burci (evocati dallo stesso Dante Alighieri nella sua Commedia) solcavano il reticolo di corsi d’acqua della pianura, tra fascia delle lagune ed entroterra padano, portando carichi di ogni tipo, dalla trachite con cui è lastricata Venezia al grano, alle barbabietole, alla sabbia, in un’epopea di cui oggi si perpetua esemplarmente il ricordo in un altro piccolo gioiello, il museo della navigazione fluviale di Battaglia Terme, anche questo nel Padovano.
Una vicenda costruita sul solido ed equilibrato rapporto tra uomo e natura, dipanatasi attraverso un patrimonio di relazioni tessuto attorno a un’articolata rete di corsi d’acqua minori: dal Bisato al Cereson, dal Meolo al Musestre, dal Tergola al Marzenego; oggi colpevolmente negletti.
Ma è tutta la rete fluviale veneta a pagare oggi dazio all’incuria e allo sfruttamento selvaggio dell’ambiente, come testimonia l’ultimo rapporto di Legambiente, che punta il dito in particolare contro la mancata depurazione e l’eccesso di diserbanti; il tutto acuito da vicende criminali di inquinamento, come quello dei micidiali pfas (sostanze perfluoroalchiliche) che dall’epicentro di Trissino nel Vicentino hanno avvelenato un ampio territorio di trenta comuni. Un venefico oltraggio a uno straordinario patrimonio ereditato da un remoto passato, gestito dalla sapiente plurisecolare manutenzione della Serenissima, e immortalato nelle tele di grandi pittori come Paolo Veronese, Giovanni Bellini, Cima da Conegliano, Giorgione; ma anche proposto con toni lirici da straordinari scrittori e poeti. Con nomi grandi. Petrarca, Nievo, Hemingway, Buzzati, Zanzotto, Parise, Piovene e Comisso. Testimonial di un mondo vitale, per secoli al centro del disegno di sviluppo che ha fatto del Veneto una terra esemplare per convivenza armonica tra uomo e natura; e che i veneti di oggi stanno tradendo, con una serie di attentati all’ambiente. E con i relativi costi, economici e sociali.
Articoli rimanenti
Accesso illimitato a tutti i contenuti del sito
1€ al mese per 3 mesi
Sei già abbonato? Accedi
Sblocca l’accesso illimitato a tutti i contenuti del sito
I commenti dei lettori