Lega, in Veneto l’incubo sorpasso da Fratelli d’Italia. Ecco come avverrà e perché
L’ultimo sondaggio di Swg indica FdI al 30,5% e il Carroccio al 14,4%, quindi sotto il Pd. Marcato: «Non voglio pensarci. Così i meloniani vorranno governare il Veneto»
Filippo Tosatto
VENEZIA. Verde nightmare, verde incubo. Il peggiore tra gli incubi leghisti ha il profilo del sondaggio settembrino di Swg sulle intenzioni di voto dei veneti, con Fratelli d’Italia che svetta al 30,5% (nelle politiche precedenti si era attestata al 4,2%…) e il Carroccio che precipita al 14,4, neanche la metà di quanto racimolato nel 2018, superato – per colmo di scorno – anche dal Pd (18,3).
Altro che sorpasso, quello che aleggia a destra è un doppiaggio irridente, impensabile nella “piccola patria serenissima” che un paio d’anni fa plebiscitava Luca Zaia con percentuali imbarazzanti per i frastornati rivali.
Uno scenario virtuale, certo, condizionato oltretutto dal gran numero di indecisi, eppure sufficiente a suscitare brividi e tensioni.
Anche tra i veterani dell’armata zaiana: «Per me l’unico sondaggio credibile sarà l’esito del voto del 25 settembre, non posso credere che la situazione sia quella prospettata», sbotta Gianpaolo Bottacin «Io mi sono iscritto per la prima volta nel 1992 e ho vissuto tutte le stagioni della Lega in un territorio, il Veneto, in cui è sempre stata più radicata che altrove».
«Ovvio che un quadro come quello ipotizzato sarebbe disastroso ed è altrettanto evidente che se ciò dovesse accadere la responsabilità non potrebbe che ricadere su chi sta gestendo il partito, così come il merito di un risultato positivo. Ma non voglio pensare a questa eventualità, mancano ancora venti giorni e credo che ci sia il modo per raccogliere più voti dei nostri alleati».
Un messaggio neanche troppo cifrato quello dell’assessore alla Protezione civile, che invita a serrare le fila nell’ora della battaglia ma non si esime dal distinguere l’operato dei seguaci del governatore da quello di Massimo Bitonci, Alberto Stefani, Andrea Ostellari, i colonnelli salviniani.
Certo il Matteo in felpa non risparmia gli sforzi nel tentativo di frenare l’emorragia – dopo le epifanie a Treviso e Venezia giovedì 8 settembre fa capolino a San Martino di Lupari, nell’Alta Padovana – e tuttavia l’impressione è che, in parallelo alla disillusione leghista, la destra meloniana proceda a vele spiegate: in queste ore gli “ambasciatori” Guido Crosetto e Adolfo Urso intensificano gli incontri con le categorie economiche e sabato, a Mestre, arriverà il colpo di grancassa di donna Giorgia.
«Nelle piazze e sul territorio da tempo si respira un clima molto favorevole a Fratelli d’Italia», gongola Luigi Sabatino, vicecoordinatore provinciale a Padova «è un consenso crescente e deriva anche dalle legittime aspettative di un tessuto imprenditoriale che intravede nella nostra forza politica una rappresentanza autorevole in Parlamento, come pure dai tanti elettori che hanno visto nell’ultimo decennio tradita la propria fiducia dal primo partito di turno».
Esplicito il guanto di sfida agli alleati-avversari: «Dalla gestione di questa crisi energetica senza precedenti alle riforme, e su tutte quelle dell’autonomia, Fratelli d’Italia saprà essere la voce dei veneti che chiedono un cambio di passo».
Chi ha un diavolo per capello (si fa per dire) è Roberto “bulldog” Marcato, alfiere del leghismo popolare e antifascista, che proprio non ce la fa a malcelare il dispetto: «Sorpasso, doppiaggio, non voglio nemmeno immaginare un esito del genere però ribadisco quanto ho affermato all’indomani del test amministrativo e dei tonfi a Padova e a Verona, archiviati senza discussioni».
«Di questo passo Fdi finirà per rivendicare la guida di una regione del nord, con il Veneto nel mirino. Per noi sarebbe uno smacco inimmaginabile, l’ho detto al direttivo, nessuno ha battuto ciglio».
Assessore allo Sviluppo economico, interlocutore abituale delle imprese, Marcato nega che il mondo delle partite Iva stia migrando in modo massiccio verso la fiammella tricolore: «Non avverto segnali in questa direzione, semmai c’è disaffezione verso la politica, accresciuta dai timori e dalla sofferenza sociale di questa fase storica. Perciò dobbiamo tornare a parlare di autonomia, semplificazione legislativa, tasse, sicurezza, lavoro. Prima che sia tardi».
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