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Da Rovigo ai cieli del mondo, grazie ai fuochi d’artificio: una storia veneta

Antonio Parente con i due fratelli guida l’azienda di Melara (Rovigo) famosa in tutto il mondo: «Via le plastiche e suoni ridotti per rendere più green i nostri spettacoli pirotecnici»

Nicola Cesaro
3 minuti di lettura

ROVIGO. Parlando con Antonio Parente si imparano almeno tre cose: che la scuola italiana di fuochi d’artificio è la più rinomata al mondo, che in Italia gli artifici sono cilindrici e in tutto il resto del mondo sono sferici, che lo spettacolo pirotecnico più grande di sempre è stato messo in scena da italiani.

Antonio Parente, 45 anni, con i fratelli Davide e Claudio guida una delle più importanti aziende pirotecniche al mondo, la Parente Fireworks di Melara (Rovigo), capace di impegnare 50 dipendenti e di fatturare oltre 7 milioni di euro all’anno. L’ultimo grande loro spettacolo è stato al Redentore di Venezia.

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Può definirsi figlio d’arte.

«La nostra è un’azienda famigliare con cento anni di tradizione, in cui l’arte è stata tramandata di padre in figlio. Nasce con Romualdo, nel Sud Italia, per gli spettacoli delle sagre di paese. Non è un caso che le più importanti realtà del settore abbiano radici lì. Mio nonno l’ha poi portata al Nord, a Melara, per lasciare poi tutto a mio papà».

Quando arriva il salto di qualità, quello che dalle sagre di paese porta ai grandi eventi planetari?

«Indubbiamente con le Olimpiadi invernali del 2006 a Torino, dove abbiamo curato le cerimonie inaugurali e di chiusura, in mondovisione. Già dagli anni Settanta eravamo noti all’estero, ma più che altro per la nostra presenza a festival o competizioni di settore. Si espatriava per quello, non per altro. Con le Olimpiadi abbiamo imparato che uno spettacolo pirotecnico non è necessariamente fine a se stesso, abbiamo imparato a interagire con i tanti attori che danno vita a uno show. Lì ci siam detti che bisognava spingere su quel pedale: non si mantiene un’azienda da 50 dipendenti solo con le sagre».

L’Italia è una buona scuola?

«Se parliamo di produzione di materiale – oltre al settore degli spettacoli siamo attivi anche come manifattura di artifici pirotecnici – la scuola italiana è, con la spagnola, la più prestigiosa del mondo. È peraltro unica per un fattore: le nostre “bombe”, le chiamiamo così, sono principalmente cilindriche, tutte le altre sono sferiche: è un aspetto che si tramanda dal passato. La Cina è imprendibile per quantità commercializzata, ma non c’è spettacolo al mondo che non includa almeno una piccola percentuale di materiale italiano: senza quello, la qualità scema. Fa mondo a sé la scuola giapponese, dall’arte sopraffina ma estremamente chiusa».

E nel commercio mondiale, Parente Fireworks come si colloca?

«Ogni anno seminiamo cento tonnellate di fuochi in tutto il mondo. In Italia operano 300 aziende pirotecniche, noi occupiamo il 30-40% del mercato. Le altre aziende sono famigliari, con al massimo 10 dipendenti. A livello di fabbricazione, siamo ai primi tre posti europei, assieme a due altre ditte spagnole. E anche a livello di allestimento di spettacoli, gira e rigira siamo sempre le solite quattro o cinque».

C’è un evento più importante di altri nel vostro portfolio?

«Deteniamo il Guinness dei primati per lo spettacolo pirotecnico più grande di sempre. Era il 2012, per il 50esimo della Costituzione del Kuwait: 70 minuti di fuochi, 250 postazioni su acqua su un fronte di 7 km, postazioni su palazzi, aeroplani e aquiloni, tre mesi di lavoro con 300 persone impiegate».

Costo?

«Poco più di 10 milioni di euro, ma è andata bene: lo dovessimo fare quest’anno, con tutti i rincari, si spenderebbe il doppio».

I vostri migliori clienti?

«In Italia siamo purtroppo considerati spesso “bombaroli” e diventiamo anche oggetto di critiche, mentre all’estero ci vedono come artisti e ci chiamano a vere e proprio imprese. Penso al “national day” dell’anno scorso, nei Paesi arabi: abbiamo allestito 17 spettacoli in 17 città diverse nello stesso giorno. Fino a qualche tempo fa c’erano i russi, che per le loro permanenze in Italia si concedevano spesso uno spettacolo. Una volta per un compleanno con soli 5 invitati abbiamo organizzato fuochi della stessa entità del Redentore di Venezia».

Alludeva alle critiche: parla di animalisti ed ecologisti?

«In generale sì, ma lo comprendiamo. E infatti abbiamo praticamente eliminato l’uso di plastiche e abbassato sensibilmente il “rumore” dei nostri fuochi, almeno qui al Nord visto che al Sud anzi ci chiedono di “caricare” molto. Però va detto che si tratta di eventi, in fatto di disturbo, quasi sempre inferiori a un normale temporale estivo. A volte ci massacrano per niente».

Il futuro è dei fuochi silenziosi?

«Spero vivamente di no, anche perché a questo punto diventerebbero come videoproiezioni, ma la certezza traballa ultimamente. Confido nel buonsenso: al prossimo Ferragosto in Prato della Valle, ad esempio, ridurremo sensibilmente l’impatto sonoro rispetto al passato. Noi ce la mettiamo tutta».

C’è qualcosa che teme prima di ogni spettacolo?

«Che non vada niente o che vada tutto in modo errato. In mezzo ci sta invece il disguido, che può capitare, anche perché a fronte di un impiego di tecnologia all’avanguardia va ricordato che la messa in opera è tutta manuale e che raramente possiamo simulare lo spettacolo. E l’errore può capitare. Un esempio? Le lettere invertite nella scritta “Venezia-Odessa” all’ultimo Redentore di Venezia. Per ora questo è stato il nostro errore più grande, ma in questo caso il messaggio ha superato la svista».

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