L’inchiesta sui tamponi rapidi in Veneto e le accuse a Rigoli: ecco tutto quello che sappiamo
L’indagine della Procura di Padova nata da un esposto del professor Andrea Crisanti secondo cui i test fatti acquistare alla Regione a fine estate 2020 sarebbero stati pericolosi, incapaci di riconoscere un positivo su tre

PADOVA. A distanza di due anni dai fatti, la Procura della Repubblica di Padova ha concluso un’inchiesta sui test rapidi antigenici per il Covid-19 acquistati dalla Regione Veneto fra l’agosto e il settembre 2020, su indicazione del dottor Roberto Rigoli che, da Direttore dell’unità operativa complessa di Microbiologia e Virologia dell’Usl 2 di Treviso, svolgeva anche una funzione di coordinamento per il Veneto.
L’INCHIESTA Tutto nasce dall’esposto presentato nel novembre 2020 da Andrea Crisanti, nel quale era posta in dubbio la sufficiente precisione dei 500 mila test rapidi antigenici per Covid prodotti dall’azienda multinazionale Abbott, adottati dalla Regione Veneto nella lotta al Covid senza le necessarie verifiche di efficacia e affidabilità, secondo l’accusatore. A detta di Crisanti, quei tamponi sarebbero stati poco precisi, incapaci di intercettare “un positivo ogni tre”. Le indagini sono state condotte anche tramite intercettazioni telefoniche e ambientali, perquisizioni, sequestri, l’acquisizione di un grande quantitativo di documenti e le dichiarazioni dello stesso Rigoli.
LE ACCUSE La Procura della Repubblica di Padova, nella persona del pubblico ministero Benedetto Roberti, ha concluso le indagini e ha chiesto il rinvio a giudizio per il dottor Roberto Rigoli, all’epoca dei fatti coordinatore delle Microbiologie del Veneto, e della dottoressa Patrizia Simionato, ex direttrice generale di Azienda Zero del Veneto, per falso ideologico in atto pubblico e depistaggio. In sostanza, la Procura contesta a Rigoli di aver dichiarato il falso, sostenendo di aver testato i tamponi rapidi in questione, mentre invece si sarebbe “limitato a un riscontro di esiti numericamente minimi e palesemente privi di valore scientifico”. A Simionato si contesta il fatto di essere stata al corrente di tale falsa dichiarazione. “Le perplessità rispetto alla semplificazione – recita il comunicato della Procura – sono state superate fra l’altro in base all’opportunità di fare presto e di assicurarsi la fornitura prima di altri possibili acquirenti esteri”.
IL DEPISTAGGIO Consisterebbe nel fatto che Rigoli, a inchiesta in corso, avrebbe fornito alla polizia giudiziaria della documentazione falsa, «sull’effettuazione e le buone regole di congrui campioni di prova del prodotto Abbott, nel Pronto soccorso di Treviso”.
I TAMPONI Si tratta di test antigenici rapidi di prima e seconda generazione della ditta Abbott, testati da Rigoli al Pronto Soccorso di Treviso, nel corso dell’estate 2020 e fatti acquistare nel numero di 500 mila, per una spesa di due milioni di euro, nei mesi immediatamente successivi, fra la prima e la seconda ondata del Covid.
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LA GARA PER FORNITURA Da parte della Regione Veneto fu una gara ad affidamento diretto alla Abbot, procedura snella giustificata, a detta della stessa Procura della Repubblica di Padova, dall’urgenza di intervenire di fronte all’emergenza sanitaria. Gli acquisti furono fatti in due tranche, ad agosto e settembre 2020. La Regione, nella richiesta inserita nella procedura di affidamento diretto, richiedeva una loro precisione diagnostica di positività al virus non inferiore all’80%.
LO STUDIO DI CRISANTI Per un mese (dal 15 settembre al 16 ottobre 2020) Crisanti stesso aveva sottoposto un gruppo di pazienti, 1.593, a doppio test. Prima rapido, poi molecolare. Ecco il risultato: «Dall’analisi dei dati riportati in tabella si evidenzia che su un totale di 61 campioni risultati positivi al test molecolare, 18 sono risultati negativi al test antigenico rapido». Insomma, tre tamponi rapidi ogni dieci davano un falso negativo.
LA DIFESA DI RIGOLI «Nella procedura per l’acquisto dei test rapidi per la rilevazione dell’antigene Covid 19 del mese di agosto 2020 – scrive fra l’altro il legale di Rigoli -, mi era stata chiesta una verifica documentale della corrispondenza tra le caratteristiche tecniche richieste dall’avviso pubblico e le schede tecniche dalla casa produttrice. Effettuavamo poi anche una valutazione sull’idoneità tecnica complessiva del kit che conteneva il test rapido (cioè la sua idoneità a essere impiegato con facilità dagli operatori nel contesto emergenziale in atto). Non era invece stata richiesta un’autonoma valutazione scientifica sull’attendibilità delle specifiche tecniche dichiarate dalla casa produttrice del test. Una tale indagine sarebbe stata del resto impossibile da svolgere poiché, da un lato, avrebbe richiesto uno studio dai tempi incompatibili con quelli ristrettissimi dettati dalla emergenza sanitaria e, dall’altro, i prodotti erano già stati oggetto di controllo e certificazione da parte degli enti competenti, anche internazionali”.
IL PROCEDIMENTO Prossimo passaggio, l’udienza preliminare, che è già stata fissata per il prossimo 12 dicembre.
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