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Cinema al 100 per cento, le recensioni dei film usciti in sala venerdì 24 giugno

Strabordante, esagerato, fagocitante come il suo protagonista. "Elvis" di Baz Luhrmann attraversa senza freni la vita del re del rock e il rapporto con il suo manager, il Colonnello Tom Parker. “Il viaggio degli eroi” celebra i quarant’anni dalla vittoria dell’Italia ai mondiali di calcio del 1982. Ma è un documentario piatto e senz’anima.

marco contino
3 minuti di lettura

"Elvis" di Baz Luhrmann

 

ELVIS

Regia: Baz Luhrmann

Cast: Austin Butler, Tom Hanks, Helen Thomson

Durata: 159’

“Because I’m evil, my middle name is misery” (Perchè sono malvagio, il mio secondo nome è sofferenza). Così cantava Elvis Presley: ma il cattivo era un altro. Il suo storico manager, pigmalione della più grande rockstar di tutti i tempi: quel Colonnello Tom Parker che tenne in pugno Presley per la sua intera carriera, abusandone psicologicamente e, soprattutto, finanziariamente.

Baz Luhrmann assume il punto di vista di questo re degli imbonitori per raccontare ascesa, caduta, resurrezione e morte di un mito assoluto, un’icona che ha cambiato per sempre la musica e il costume.

“Elvis” non poteva che essere diretto da un regista come Luhrmann: esagerato, barocco, tonitruante, incontinente per come fagocita lo spettatore in un flusso di immagini e musica montati ad una velocità che stordisce.

Potrebbero essere difetti (e, qualche volta, lo sono) ma, in fondo, l’approccio del regista australiano è forse l’unico possibile: un cinema divorante per non essere a propria volta divorato da un artista “larger than life”, destinato, ad ogni apparizione, a regalare il più grande spettacolo della Terra.

E, soprattutto nella prima parte, “Elvis” è una fuoriserie che corre all’impazzata verso un destino già segnato. Quello di un supereroe cresciuto in un quartiere nero di Memphis, quasi posseduto dal rythm&blues innervato di origini country, mentre in America la morale puritana e segregazionista censura ogni espressione di erotismo e libertà.

La sequenza dell’esordio a teatro di Presley sotto gli occhi del Colonnello è magistrale nell’imprimere al film il suo senso ultimo: l’amore sotto forma di desiderio e di possesso che sconvolge gli sguardi delle donne, le fa saltare sulle poltrone, sorprese da una frenesia incontrollabile.

Sarà, alla fine, questo amore declinato in tutte le sue forme (nocivo e protettivo, utilitarista e incondizionato) a segnare il principio e la fine (ma solo quella terrena) di Elvis.

Per il suo narratore Tom Parker (uno strepitoso e luciferino Tom Hanks) è, in fondo, questo amore ad aver ucciso l’icona e, al contempo, a scagionare se stesso dalla accuse di esserne diventato il carceriere per il proprio tornaconto.

Intanto Elvis attraversa l’America e diventa egli stesso un pezzo di storia americana lungo una parabola che Austin Butler disegna facendosi, allo stesso tempo, ascissa e ordinata, tanto è completa e stupefacente la sua prova d’attore. Sempre un passo indietro alla mimesi vuota e un passo avanti rispetto all’artificio: il suo Elvis è uguale e diverso dall’originale in modo unico.

Alla fine, nonostante la durata impegnativa e qualche deriva circense di troppo, il film di Lurhmann entra sotto la pelle per adattarsi come un liquido alla capacità visiva di ogni singolo spettatore: libero di fluire senza argini.

Anzi, senza catene come la “Unchained melody” che accompagna la fine del mito. 

Voto: 7

***

IL VIAGGIO DEGLI EROI

Regia: Manlio Castagna

Cast: Marco Giallini, Giancarlo Antognoni, Giuseppe Bergomi, Antonio Cabrini, Bruno Conti, Claudio Gentile, Gabriele Oriali, Dino Zoff

Durata: 75’

"Il viaggio degli eroi"  diretto dal regista Manlio Castagna

 

L’11 luglio del 1982 l’Italia di Bearzot e di Paolo Rossi vinceva il campionato mondiale di calcio: il terzo, ma, nella sostanza, quasi una prima volta visto che i due precedenti trionfi (lontanissimi nel tempo) avevano più il sapore di un dagherrotipo dimenticato che dell’autentica impresa sportiva.

Quarant’anni dopo il regista e sceneggiatore Manlio Castagna firma un documentario – Il viaggio degli eroi – che, ripercorrendo in 11 tappe l’avventura “mundial” di Madrid di quella squadra – chiama sul banco dei testimoni alcuni dei protagonisti di allora (Conti, Gentile, Oriali, Bergomi, Antognoni, Cabrini, Oriali, Zoff) ma anche chi non c’è più attraverso i ricordi della figlia di Bearzot e della moglie di Paolo Rossi, per celebrare una vittoria (contro ogni pronostico) che travalicò il calcio per assumere i contorni di una pacificazione sociale in un periodo storico travagliato per il Paese.

Tutto già visto (le immagini di repertorio sono sempre le stesse) e tutto già sentito (il livore della stampa nei confronti di Bearzot, l’ostracismo verso Paolo Rossi uscito con le ossa rotte dal calcio scommesse): la verità è che per quel mondiale di calcio ormai si è raggiunto il punto di saturazione (perfino la corsa a perdifiato di Tardelli non emoziona più) e “Il viaggio degli eroi” si appiattisce su un raccontino buono per la televisione ma che di cinematografico non ha nulla.

Non bastano le animazioni e le ridondanti didascalie al principio di ogni capitolo e un (inspiegabile) contrappunto narrativo affidato a Marco Giallini (che da una sala di registrazione interviene di tanto in tanto senza avere un vero ruolo nel racconto) per dare una spinta alla carrellata di immagini dell’epoca e alle voci degli intervistati.

Il tutto innaffiato da una melassa epica che ottiene l’effetto contrario e, anziché coinvolgere, raffredda le emozioni.

Rispetto a un altro recente prodotto, per temi e drammaturgia simile (“Una squadra” di Domenico Procacci sull’impresa dell’Italia del tennis nel 1976: ironico, inedito, coinvolgente), “Il viaggio degli eroi” sembra più una gita fuori porta.

Voto: 5

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