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L’editoriale del direttore / L’unico modo per salvarci

FABRIZIO BRANCOLI
1 minuto di lettura

È orribile, un corpo carbonizzato. Perde ogni umanità, dimentica la vita che lo attraversava. Ma tanto Cloe era già brutta. E quindi non fa grande differenza.

È lei stessa a raccontarcelo, ora che finalmente la ascoltiamo. Aveva scritto sul suo blog: “Una donna brutta non ha a disposizione le opportunità per raccontarsi, offerte dalla vita. Si tratta d’esistere sempre sommessamente, nella penombra. In punta di piedi, sempre ai bordi della periferia sociale, dov’è difficile guardare in faccia la realtà. Io sono brutta, decisamente brutta, sono una donna transgenere”.

Così Cloe Bianco si è tolta la vita, pochi giorni fa, a cinquantotto anni, dopo aver incendiato il suo camper in un bosco del Cadore, tra Auronzo e Misurina. Per solitudine, per disperazione, perché era brutta. La facevamo sentire brutta noi, fino a convincerla di non meritare altro che la morte. Dopo aver fatto testamento ha ascoltato un po’ di musica, per l’ultima volta. Perché la musica ha questa cosa bella e strana: non discrimina. È un’eccezione alla regola.

Cloe insegnava fisica all’istituto Mattei di San Donà di Piave. Il 30 novembre 2015 lei, che per l’anagrafe era maschio, si era presentata nella sua classe in abiti femminili, risolvendo le sue angosce. Ai ragazzi, sorpresi, aveva detto solo la verità: mi sento donna, da ora in poi sarò così. Aveva semplicemente manifestato la sua identità di genere. Il padre di un alunno scrisse una lettera scandalizzata, un’assessora regionale che non intendo nominare gli dette ragione e si disse “schifata”. Dove andremo a finire, signori miei. Certo, a isolarla e abbandonarla non è stata solo l’assessora regionale: siamo stati tutti noi. Cloe fu sospesa dalla scuola per comportamento irresponsabile e scorretto e da quel giorno, pur affrontando una battaglia civile per i diritti suoi e di altre persone, è cominciato il suo martirio interiore. Aveva lasciato la sua casa, aveva reciso i suoi affetti. Era sola. Infine, era diventata invisibile.

Se esiste un modo giusto di reagire al suicidio di Cloe, è quello di imparare qualcosa. Possiamo impegnarci a rendere questa morte la fine di una cosa e l’inizio di un’altra. Dovremmo veramente farlo. Non per riparare, perché questa cosa non può essere messa a posto. Ma almeno per salvarci. Ricostruendo ponti dove li avevamo fatti saltare in aria; i ponti tra la gente. Per esempio dovremmo occuparci dei diritti delle persone che vivono il disagio che Cloe Bianco ha vissuto: umiliate, ferite, declassate, derubricate, squalificate dai nostri giudizi. Anime da maneggiare con cura, che invece strappiamo e accartocciamo.

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