Ciak a Cinecittà: così i nazisti si nascosero mostrandosi in divisa sul grande schermo
L’incredibile vicenda torna alla luce grazie alla ricerca di Mario Tedeschini Lalli: dalle Fosse Ardeatine ai set di Sonego e Visconti
Nicolò Menniti-Ippolito
ROMA. «Si legge come un romanzo», si dice spesso di un saggio avvincente, di una storia vera che sembra però romanzesca. Per un libro come “Nazisti a Cinecittà” (Nutrimenti, pp 315, 17 euro), però, la definizione suona inadeguata per difetto, perché la vicenda che il giornalista e storico Mario Tedeschini Lalli, racconta in questo libro è molto più che romanzesca: prima di tutto perché nessun romanziere potrebbe inventare un’articolazione di incontri, di corrispondenze, di paradossi così complessa; secondo perché questa storia assolutamente vera è uno specchio che restituisce metaforicamente una immagine sconcertante del nostro rapporto col passato.
NON UNO QUALUNQUE
Il libro di Mario Tedeschini Lalli, da ieri in libreria, nasce da un’immagine rinvenuta quasi causalmente. Mentre fa una ricerca sul sistema di disinformazione tedesco in Italia, Tedeschini Lalli si imbatte in un personaggio, Borante Domizlaff, che sorprendentemente ricompare poi come interprete di “Una vita difficile” di Dino Risi. Il film è del 1961 e Domizlaff fa la parte del tedesco, del nazista: solo che lui è tedesco ed è nazista, e non uno qualunque. Ha ucciso, sparando alla nuca, alle Fosse Ardeatine; è stato braccio destro di Herbert Kappler e pochi anni dopo è, col suo nome e cognome, in uno dei grandi film italiani, sceneggiato tra l’altro da un uomo della Resistenza come Rodolfo Sonego.
Paradossi della vita – si potrebbe dire– ma per fortuna Mario Tedeschini Lalli è andato oltre, ha cercato di capire, e ha scoperto un mondo. Per esempio che Domizlaff ha “fatto” il nazista anche in “La ciociara”, oppure che anche il braccio sinistro di Kappler, Karl Hass, ugualmente presente alle Fosse Ardeatine, ha recitato la parte del tedesco, questa volta con Luchino Visconti, in “La caduta degli Dei”. E ancora che Otto von Wachter, criminale di guerra, governatore del Distretto di Leopoli, nel 1949 faceva la comparsa a Cinecittà e rimpiangeva di non aver conservato la sua divisa nazista, perché con quella avrebbe trovato più lavoro.

Nazisti che facevano i nazisti sullo schermo, e perlopiù erano ancora nazisti, che usufruivano di una rete di protezione costituita da ex repubblichini ora confluiti nel Movimento Sociale Italiano, da vescovi come Alois Hudal, uno degli organizzatori della “ratline” che mise in salvo in America Latina, ma non solo, decine di criminali di guerra nazisti.
RAGNATELA DI COPERTURE
Ma Mario Tedeschini Lalli seguendo i fili delle vite di questi personaggi ha trovato molto altro. Karl Hass dopo aver personalmente sparato alle Fosse Ardeatine è passato senza soluzione di continuità a collaborare coi servizi segreti americani ed è stato a lungo protetto dagli stessi servizi segreti italiani in formazione, tanto che una foto (un battesimo) con lui e Domizlaff è finita nelle carte del processo di Piazza Fontana. È stato condannato come criminale di guerra solo nel 1998, ma nel frattempo ha lavorato per i servizi segreti tedeschi in formazione, forse ha fatto il doppio gioco coi russi, è stato incaricato di organizzare i cimiteri dei militari tedeschi in Italia, stipendiato dalla Stato: prima sotto falso nome, poi col suo nome vero come Domizlaff.
Mentre Priebke si nascondeva in Argentina, i suoi due sodali al fianco di Kappler avevano scelto di nascondersi alla luce del sole, nel luogo stesso del delitto, a Roma e in Italia, mascherandosi da SS da film. Il che sembra inverosimile.
Sonego – si chiede Mario Tedeschini Lalli – si è reso conto che nel suo film più autobiografico, in cui ha raccontato la sua vicenda di Resistenza sulle montagne bellunesi, ha avuto al fianco un nazista vero, di quelli che pochi anni prima aveva fucilato i suoi compagni? Questo non lo sapremo, ma altre cose sì, perché gli archivi ci parlano anche se spesso in modo confuso, con errori macroscopici perché le relazioni delle spie – si scopre – sono un po’ cialtronesche.l
L’AUTOASSOLUZIONE
Come nei due bellissimi libri di Philippe Sands, “La strada verso Est” e “La via di fuga. Sulle tracce di un criminale nazista”, editi da Guanda, che condividono con questo libro alcuni personaggi e alcuni testimoni, anche in “Nazisti a Cinecittà” sorprende la facilità con cui i nazisti sopravvissuti si sono perdonati, si sono giustificati davanti a se stessi senza mai pentirsi di nulla, senza provare nessuna vergogna nell’indossare i panni del cattivo tedesco. Ma sorprende ancora di più la rimozione degli altri, la facilità con cui l’orrore delle Fosse Ardeatine, con quei colpi sparati individualmente alla nuca, accumulando i cadaveri a cinque a cinque, è stato normalizzato. Così il nazista della porta accanto è diventato la macchietta che grida «Achtung! Achtung!» e il dolore è stato confinato nella memorie familiari delle vittime.
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