Dall’Adige in secca riaffiorano i resti della medievale Rocca Marchesana a Masi
Eretta intorno all’anno Mille, la torre fu smantellata nel 1528. Ora è ben visibile sotto al ponte che lega Masi al Polesine
Nicola Cesaro
MASI. Quattro anni fa, quando in ballo c’era la fusione tra Masi e Castelbaldo, uno dei nomi proposti per il nuovo Comune era stato Fortezza d’Adige. Toponimo, questo, che rendeva tributo al passato che centinaia di anni fa vedeva in questi due territori un’importante torre, la Rocca Marchesana. La fusione si è arenata, e con essa il nuovo nome. Il verbo arenare non capita a caso in questa narrazione: con l’Adige ai minimi storici, incagliarsi sarebbe effetto scontato una volta in acqua.
Ma c’è un altro effetto ben visibile a tutti. Proprio dal livello bassissimo del fiume, per chiudere il cerchio semantico del ragionamento, ecco riaffiorare proprio quella Rocca tirata in ballo quattro anni fa: la Marchesana. Quel che resta dell’antico manufatto è oggi perfettamente visibile per chi attraversa il ponte che da Masi porta a Badia Polesine, e dunque dal Padovano introduce al Polesine.
Appena qualche giorno fa si era scritto di un altro riaffioro eccellente nell’Adige, quello dei resti del Castello di Borgoforte ad Anguillara Veneta, una trentina di chilometri più verso il mare. Che storia ha la Rocca Marchesana? Qualche tempo fa ci hanno pensato il giornalista Mauro Gambin e lo storico Giuliano Mantovan a recuperare l’identità di quel cumulo di pietra e di quei lacerti di muratura, risalendo fino agli anni in cui l’abitato di Masi erano proprio in mezzo all’Adige. La Rocca era il simbolo di questa comunità.

«La torre costituiva toponimo tanto che nelle cartine tra Quattrocento e Cinquecento il nome di Rocche Marchesane viene spesso usato in sostituzione a quello di Masi», scrive Gambin nella ricerca pubblicata sulla testata “Con i piedi per terra”. Stando allo studio, la Rocca Marchesana vide i natali nel periodo Estense, intorno all’anno Mille, o forse nel periodo Padovano: epoche in cui l’Adige era uno sbocco importante per la crescita economica, via di comunicazione fondamentale tra le terre dell’imperatore e del papa.
A fine Duecento «inequivocabilmente la Marchesana era già attiva nella sua funzione di “casello autostradale” per la riscossione del pedaggio fluviale, il “tolloneo”». Un complicato sistema di catene, tese sotto il pelo dell’acqua tra una torre e l’altra erette lungo l’Adige, creava uno sbarramento oltre al quale, per andare, era opportuno pagare. E ancora, scrive Gambin, «con il vicino castello di Castelbaldo la torre rappresentava un potente baluardo difensivo contro le mire della vicina Verona, che anch’essa nell’Adige aveva i propri interessi, e Ferrara dove gli Estensi non avevano mai totalmente deposto il desiderio di rientrare in possesso dei loro antichi territori».

La Torre Marchesana è ampiamente descritta anche nel 1483 da Marin Sanudo, nel suo “Itinerario per la terra ferma”. Nel 1528, continua Gambin, la torre venne smantellata «e con i suoi mattoni venne irrobustita la vicina fortezza di Legnago. Non venne “smontata” del tutto: una carta del 1677 riportava ancora il punto esatto in cui si trovavano le sue vestigia, ma il definitivo colpo di grazia arrivò con il taglio delle Rocche Marchesane alla fine del XVII secolo: venne aperto un canale proprio nel cuore del piccolo villaggio, facendo inabissare l’intera area nella corrente del fiume». Fiume, che oggi, riporta a galla la storia.
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