Dossier fiumi del Veneto. Tutti a secco disperatamente. Ecco cosa ci attende
Il grande reportage sullo stato dei corsi regionali e dei serbatoi montani di una risorsa essenziale per la vita
FRANCESCO JORI
Di seguito un viaggio fotografico di Nicolò Zangirolami lungo il Po, il grande fiume che da 100 giorni non vede pioggia. L’allarme è stato lanciato dall’Osservatorio sulle crisi idriche convocato dall'Autorità di bacino del fiume Po - Ministero della Transizione Ecologica
PADOVA. Tutti a secco, disperatamente. Tra una manciata di giorni va in archivio uno degli inverni più caldi di questi anni Duemila, con temperature di almeno 2 gradi sopra la media, e un crollo della pioggia pari al 65 per cento. In montagna il deficit di neve viaggia sul metro; in pianura le portate dei fiumi sono ai minimi storici; nel complesso, le falde acquifere fanno registrare il record negativo degli ultimi vent’anni. Tutt’altro che un caso isolato: ormai fenomeni che un tempo si registravano ogni cinquant’anni, oggi si ripropongono ogni due-tre, segnalano gli esperti. Con tutta evidenza, il cambiamento climatico non è più un’opinione, ma qualcosa con cui dover imparare a convivere.

Nella foto qui sopra la spiaggia che si è creata con l’abbassamento della portata del Po. Il tratto è quello tra Pontelagoscuro e Santa Maria Maddalena. A febbraio e in questo primo scorcio di marzo, le precipitazioni sono state irrilevanti, riducendo la portata del fiume ai valori minimi dal 1972.©2022 FOTO ZANGIROLAMI
LA PIOGGIA
L’Inverno della grande sete
In Veneto, la pioggia è risultata impietosamente assente nella prima metà di marzo: se dovesse rivelarsi tale anche nella seconda, ne risulterebbe il mese più scarso di apporti dal 1994. L’allarme parte dall’Arpav, l’agenzia regionale per l’ambiente, che fornisce a supporto qualche esempio allarmante delle prime due settimane: zero acqua sul Po a fronte di una media del periodo di 54 millimetri; zero sull’Adige, contro 64; zero sulla pianura tra Livenza e Piave, contro 65.
Il Piave a Longarone, il video dal letto del fiume in secca
Bollettino critico anche dalla montagna, dove non ha nevicato per nulla: l’ultima volta era successo nel 1992. Nel complesso, la neve fresca caduta tra l’ottobre scorso e metà marzo risulta inferiore del 40 per cento nelle Dolomiti e del 50 nelle Prealpi, con un deficit di 160-170 centimetri rispetto alla media 2009-2021. Con ricadute economiche pesanti sia in quota, dove la stagione sciistica si è accorciata di almeno un mese, che in pianura, specie per un’agricoltura che fa scarsissimo uso dell’irrigazione a goccia, con sprechi d’acqua consistenti.
Ma è la situazione generale che si presenta con forti elementi di criticità. Segnala Arpav che anche nella prima metà di marzo è proseguito l’impoverimento delle falde acquifere; sono allarmanti in particolare i dati relativi all’alta pianura tra Brenta e Piave, e in alcune stazioni di bassa pianura dove i livelli sono simili a quelli del 2017, rivelatisi ai valori minimi nell’arco degli ultimi vent’anni.
Considerazioni analoghe valgono per la portata dei fiumi. Sono in condizioni di magra invernale soprattutto le sezioni montane del Piave, su valori nettamente inferiori alla media del periodo. I deflussi risultano molto scarsi sul corso dell’alto Bacchiglione, e sono scesi al minimo storico.

I piloni quasi totalmente scoperti che sostengono il ponte ferroviario che collega il Veneto all’Emilia Romagna: siamo a Pontelagoscuro vicino all’ansa del Po che abbraccia Santa Maria Maddalena, una frazione di Occhiobello. La siccità del Po minaccia un terzo della produzione agricola nazionale. ©2022 FOTO ZANGIROLAMI
I NOSTRI FIUMI
Da novembre valori nettamente inferiori alle medie storiche
Ma sono tutti i principali fiumi veneti a soffrire di un calo pressoché costante dalla metà del novembre scorso, su valori nettamente inferiori alle medie storiche, e in alcuni casi addirittura sotto i minimi. Con un aggravamento in questa prima metà di marzo, quando rispetto alla media storica mensile la portata media è risultata di appena un terzo per il Brenta e il Bacchiglione, meno della metà per il Po, due terzi per l’Adige.
Il Piave a Ponte della Priula, sembra di essere nel deserto
La situazione più pesante è ovviamente quella del Po, anche perché quando arriva in Veneto il “grande fiume” ha ormai accumulato un deficit via via crescente lungo il suo intero bacino: pure a febbraio e in questo primo scorcio di marzo, le precipitazioni sono state irrilevanti, riducendo la portata del fiume ai valori minimi dal 1972, mentre il trend delle temperature medie ha conosciuto un rialzo prossimo ai 3 gradi, facendo dell’inverno 2021-22 il più caldo degli ultimi quarant’anni.
Una situazione aggravata dalla scarsità non solo di acqua dal cielo ma pure di neve: il manto nevoso sull’intero arco alpino è ai minimi, abbondantemente sotto la media registrata nel periodo 2006-2020. Il totale della risorsa idrica fin qui immagazzinata risulta del 70 per cento inferiore rispetto alla media stagionale; tutti i grandi laghi e i serbatoi sia delle Alpi che dell’Appennino sono in crisi.

Il Po all’altezza di Stienta: il corso del fiume è ampiamente interrotto da una secca centrale. Il grande fiume presenta un deficit di portata pari a oltre 100 milioni di metri cubi. Ma risultano ai minimi storici in Veneto praticamente tutti i principali fiumi. ©2022 FOTO ZANGIROLAMI
I CONSORZI
«Situazione irrimediabilmente compromessa»
È un quadro a tinte fosche, quello che emerge dall’ultimo rapporto settimanale dell’Osservatorio sulle risorse idriche dell’Anbi, l’associazione cui fanno capo i consorzi di bonifica e irrigazione, che parla di una situazione “irrimediabilmente compromessa” per l’intero nord Italia, “a causa del deficit pluviometrico, delle alte temperature e dell’insufficiente manto nevoso, destinato a sciogliersi entro breve, senza rimpinguare significativamente le falde e senza incidere sulle disponibilità irrigue”.
Il solo Po presenta un deficit di portata pari a oltre 100 milioni di metri cubi. Risultano ai minimi storici in Veneto praticamente tutti i principali fiumi: Adige, Brenta, Bacchiglione, Livenza, Gorzone, Astico, Boite, Cordevole, Piave.
Un aspetto collegato, e ugualmente preoccupante, è quello del cuneo salino, cioè della penetrazione all’interno delle acque di mare a causa del calo della portata dei fiumi: in ampi tratti del delta del Po, in particolare, la risalita dell’acqua dell’Adriatico si spinge fino a oltre 10 chilometri nell’entroterra, con pesanti ricadute per l’agricoltura.
Coldiretti ha appena lanciato l’allarme: la situazione creatasi nel bacino del Po minaccia oltre un terzo della produzione agricola nazionale e metà dell’allevamento, con danni stimati per un miliardo.

Il panorama scarsamente imbiancato alle Cinque Torri, una delle mete più conosciute e famose di Cortina d’Ampezzo e delle Dolomiti. A quota 2.250 metri (le vette arrivano a 2.360 metri) alberi verdi e prato a vista. All’orizzonte solo qualche spruzzata di neve sulle cime. La foto è stata scattata l’8 marzo scorso
IL TECNICO
«Cambiamenti climatici in atto ormai evidenti»
Le criticità idriche risollevano un vecchio problema, di cui si discute da anni senza veri interventi risolutivi: quello degli invasi, vale a dire dei bacini dove si raccoglie l’acqua derivante da pioggia e neve caduta d’inverno, per utilizzarla durante l’estate sia per l’industria che per l’agricoltura.
Una situazione deficitaria in generale, che in Veneto si fa sentire in modo particolare, molto più che altrove: gli invasi disponibili in regione trattengono solo il 5 per cento delle piogge che cadono nell’arco dell’anno, a fronte di un dato nazionale dell’11.
In questo periodo di siccità estrema il quadro è ancor più drastico: il bacino del Corlo registra un calo di 13 milioni di metri cubi d’acqua, con il livello più basso dal 1996. Non va meglio per quelli dell’area del Piave (laghi di Santa Croce, del Cadore e del Mis), dove il volume invasato è al di sotto di una ventina di punti rispetto alla media del periodo.
Una volta di più, la situazione estrema di questa stagione pone l’esigenza di metter mano a un piano organico, come sottolinea Giuseppe Romano, trevigiano, presidente di Anbi Veneto: «È evidente che stiamo risentendo dei cambiamenti climatici in atto, con situazioni che appaiono surreali: siamo passati dall’emergenza alluvionale a una situazione di quasi siccità nell’arco di appena due mesi. È necessario che lo Stato investa maggiori risorse su invasi ed efficientamento della rete irrigua, e che velocizzi la burocrazia per aprire i cantieri delle opere già finanziate nel Piano Invasi».

Il lago di Pianozes. Incastonato tra le Dolomiti Ampezzane, il piccolo lago è circondato dal bosco. Nella foto dall’alto (del 4 febbraio) si vedono le cime verdi degli alberi e lo scioglimento parziale della superficie ghiacciata del lago dove, durante l’inverno, di solito è possibile pattinare. (FOTO DAL PROFILO INSTAGRAM CORTINADOLOMITI)
L’AGRICOLTURA
«In Veneto mancano invasi e non recuperiamo la pioggia»
È un appello che parte anche da Coldiretti regionale. Per questo l’organizzazione punta molto sulle possibilità legate all’attuazione del Pnrr, il piano nazionale di ripresa e resilienza.
Lo sottolinea il vice presidente Carlo Salvan, polesano, riconoscendo quanto fatto ma sottolineando l’esigenza di aumentare gli sforzi: «Dopo 21 progetti finanziati dal programma nazionale di sviluppo rurale e mille invasi da realizzare in tutta Italia, che hanno fatto risparmiare in totale 250milioni di metri cubi di acqua, contiamo su questo strumento per fare ancora di più. Come Coldiretti puntiamo sulla creazione di invasi nelle aree interne per risparmiare l’acqua. Il Veneto recupera solo il 5% della pioggia rispetto a una media nazionale dell’11%, dato che dimostra quanto bisogno ci sia di investimenti in questo campo».
A questo si aggiunge un vergognoso spreco della risorsa acqua: quasi nove litri su dieci di pioggia vanno perduti per carenze infrastrutturali ripetutamente denunciate ma rimaste sostanzialmente invariate.
L’Italia rimane il Paese europeo con la rete idrica meno efficiente: gli sprechi idrici raggiungono il 32%, contro il 15 dell’Inghilterra e il 6 della Germania. Un assurdo, con la siccità che incombe. —
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