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La fame di energia: tutto quello che sappiamo sulla corsa ai parchi fotovoltaici in Veneto

Migliaia di pannelli già ricoprono ampi tratti della regione ma molti di più sono in arrivo in tutte le province. Un aumento esponenziale. A favore Legambiente e Confindustria. Contro Coldiretti e alla Cia non piace l’agrovoltaico. Ecco i pericoli e i vantaggi

Laura Berlinghieri
9 minuti di lettura
Il parco fotovoltaico di San Bellino 

VENEZIA. Distese di celle rettangolari, un metro per un metro e mezzo, circa venti chili. A decine, centinaia, migliaia ricoprono il territorio veneto. Nella nostra regione, occupano 788 ettari di terreno. L’equivalente di 1.125 campi da calcio, con il solito paragone.

È il richiamo del futuro sostenibile, stretto da altre necessità. È la rivoluzione green contro l’agricoltura. Ma anche la rivoluzione green che si rivolta contro se stessa, con distese di pannelli che ricoprono proprio quel “verde” nel cui nome loro stessi sono stati costruiti.

IL FOTOVOLTAICO IN VENETO

Il tema del fotovoltaico è scivoloso, perché sono tanti gli aspetti da valutare. Ancora di più, oggi. Con la guerra in Ucraina, l’impennata dei costi dell’energia, la necessità di trovare alternative sostenibili ed economiche, con il ritorno dello spettro del nucleare. Di fronte a tutto questo, il fotovoltaico sembra la soluzione più corretta.

Le aziende premono. Solo nei primi sei mesi del 2021, ad Arpav sono arrivate richieste per oltre 200 ettari. Preme il Governo, con il Pnrr: entro il 2026 arriveranno 1,1 miliardi per la transizione energetica. Preme l’Europa: nel 2030, il Veneto dovrà poter contare su 5 mila ettari di fotovoltaico. Per riscaldamento, industria, trasporti.

Anche sfruttando al massimo le potenzialità del territorio, il Veneto non riuscirebbe a dipendere unicamente dalle energie rinnovabili. Dati Terna, in Veneto il fabbisogno energetico annuo è di 32,3 TWh (terawattora), di cui solo la metà viene autoprodotta. L’energia che arriva dal fotovoltaico è di appena 1,96 TWh. Entro il 2030, è richiesto uno scatto a 7 TWh.

Può significare diverse cose. Ci sono gli impianti a terra tradizionali. Ci sono quelli agrovoltaici, in grado di far respirare il terreno. «Alcuni studi dimostrano persino che questi impianti aumentano la produttività della terra, che viene ombreggiata e mantenuta a un certo livello di umidità» sostiene Luigi Lazzaro, presidente di Legambiente Veneto. E poi ci sono i tetti degli edifici, le aree dismesse (discariche e vecchie industrie), i parcheggi. È questo il tema. È qui lo scontro.

LO SCONTRO GREEN

Ed è uno scontro le cui fazioni non sono predeterminate. Tra una decina di giorni, tornerà in Seconda commissione consiliare la proposta di legge avanzata dal consigliere leghista Roberto Bet, volta proprio a normare e limitare la costruzione degli impianti fotovoltaici.

«Non possiamo imporre un divieto generalizzato sulle zone agricole, ma chiediamo che in queste aree prevalga l’attività agricola e che gli impianti siano agrovoltaici» dice Bet.

A favore del fotovoltaico – sempre – si schierano Legambiente, Confagricoltura, Confindustria, le imprese. Tanta politica è contraria, come è contraria Coldiretti. È tutta una questione di interessi: quali devono prevalere e quali, invece, possono essere oscurati.

Il fronte del “No” è compatto nel ribadire la propria contrarietà ai pannelli a terra. Ma si levano voci contrarie anche rispetto all’agrovoltaico. «Vanno fatte le opportune valutazioni con i tecnici agronomi» dice Maurizio Antonini, presidente veneto di Cia. «Il tema non riguarda soltanto l’agricoltura, ma anche il paesaggio. Non possiamo iniziare a ricoprire il territorio con piloni di tre metri, anche se compatibili con le coltivazioni».

IL CONSUMO DEL SUOLO

C’è un tema di consumo del suolo, ad esempio. Una questione particolarmente avvertita in Veneto, la seconda regione in Italia per ettari sottratti alla campagna: 217.744, quasi il 12% di tutto il territorio.

«Un (quasi) primato negativo, da cui non può passare lo sviluppo della nostra regione» dice Matteo Favero, responsabile Pd del forum ambiente e infrastrutture del Veneto, sostenendo l’uso delle rinnovabili «che garantiscono la lotta alle emissioni inquinanti e l’indipendenza energetica dall’estero, abbassando i costi delle bollette», ma schierandosi contro progetti che definisce «speculativi, perché consumano ancora suolo già destinato a usi agricoli».

«Ma il consumo del suolo non è certo dato dall’installazione degli impianti fotovoltaici, che hanno una vita di 20-30 anni e, una volta rimossi, restituiscono il terreno» replica Luigi Lazzaro, presidente veneto di Legambiente, fedele all’equazione fotovoltaico uguale energia rinnovabile, da promuovere sempre e comunque. «Il consumo del suolo è dato dall’urbanizzazione e dall’inserimento di poli industriali, edilizi e commerciali» sentenzia.

La Regione, dal canto suo, ufficialmente sostiene il progetto di legge che mira a limitare la “pannellizzazione” dei terreni agricoli.

«Riceviamo richieste anche per impianti da 200 ettari. Prima di tutto, vanno sfruttati i tetti di case, stalle e capannoni. I terreni si lascino all’agricoltura, se non in minima parte, per aiutare le piccole aziende con l’autoproduzione di energia, non certo le multinazionali» dice Federico Caner, assessore all’agricoltura.

I PROGETTI IN PIEDI

E invece, da un paio d’anni, dopo la stasi che si era affermata dal 2012, le richieste e gli impianti stanno proliferando. Sui tetti, certo, complice il Superbonus 110%. Ma anche a terra, grazie a costi di produzione che si sono abbassati molto. I 788 ettari ricoperti da pannelli nel 2020 erano 769 nel 2019 e 660 nel 2018.

In Veneto, gli impianti più estesi si trovano nel Rodigino: i 142 ettari di Canaro e gli 80 di Castelguglielmo e San Bellino. E si lavora per i 60 ettari di Loreo. Ma l’entusiasmo green ha contagiato ormai tutta la regione.

A Bagnoli di Sopra si progetta il più grande parco fotovoltaico del Padovano: 40 ettari in località Moraro, su iniziativa dell’azienda Chiron Energy. Edison Spa si è invece mossa per ricoprire di pannelli un’area di 26,7 ettari tra Portogruaro e Concordia Sagittaria.

E anche Mogliano potrebbe avere il suo parco: 9 ettari, lungo la tangenziale nord, ricoperti da Sicet. Cittadini, istituzioni e associazioni permettendo, viste le levate di scudi.

L’AGRICOLTURA

Le associazioni, si diceva. Coldiretti, in primis, per la quale “l’affaire fotovoltaico” ha creato non pochi scossoni. Epicentro Loreo. Il maxi progetto per il quale l’allora presidente veneto dell’associazione scatenò una vera bufera contro Zaia, coinvolgendo persino i bambini.

Esito: Arosio rispedito in Lombardia e, al suo posto, Marina Montedoro, che comunque tuona: «No ai terreni agricoli per il fotovoltaico. Già, a causa del conflitto, stiamo vivendo un periodo di enorme crisi, non possiamo permetterci di sottrarre ulteriori terreni alla nostra attività».

Si continua a scivolare sul verde e la battaglia è più che mai aperta. —

I DATI DEL PROBLEMA

Consumo di suolo in Veneto. Ecco tutti i numeri per capire cosa sta succedendo

Dai dati del monitoraggio del consumo di suolo del 2020 risulta che ben 788 ettari del territorio veneto sono occupati da impianti fotovoltaici a terra. Dopo un rapido incremento a cui si era assistito agli inizi del decennio scorso, tuttavia, dal 2012 la situazione sembrava essersi stabilizzata.

Nell’ultimo anno invece si stanno verificando una ripresa e intensificazione della richiesta di installazione degli impianti fotovoltaici a terra. Le richieste di valutazione pervenute ad Arpav all’interno dell’iter per la verifica di assoggettabilità a Via nel corso dei primi sei mesi del 2021 riguardano una superficie di oltre 200 ettari.

La relazione Ispra 2021 sul Veneto: «Va tuttavia evidenziato che la convenienza economica della realizzazione a terra di impianti fotovoltaici si scontra con un’adeguata valutazione di ecosostenibilità degli stessi in quanto impattanti sul suolo, risorsa già fortemente intaccata e compromessa».

L’anno scorso, la Coldiretti regionale, allora guidata dal lombardo Tino Arosio, aveva condotto una campagna battente contro la transizione energetica, nel nome di un fotovoltaico ad ogni costo. Una propaganda che non era piaciuta a Zaia. A novembre 2021, i vertici veneto e lombardo di Coldiretti sono stati invertiti.

Con 217.744 ettari sottratti alla campagna, pari all’11,87% del territorio (contro una media nazionale del 7,11%), il Veneto è la seconda regione italiana per consumo del suolo. Un risultato ben poco lusinghiero, che è riportato tra le varie motivazioni di chi si schiera contro gli impianti fotovoltaici tradizionali, a terra.

Anna Busato, 17 anni di Mogliano, ha scritto al presidente Luca Zaia per chiedere di non autorizzare il parco fotovoltaico di Mogliano

 

IL BRACCIO DI FERRO IN VENETO

Ecco chi sono i favorevoli, i contrari e i furbi

La paura di Anna. «Ho timore di svegliarmi, aprire la finestra e vedere il campo deturpato». È l’inizio della lettera di Anna Busato, 17enne di Mogliano, indirizzata a Luca Zaia. Lui ha risposto, rassicurandola: «I cittadini saranno ascoltati».

Bagnoli: il “no” al mega parco fotovoltaico. Quaranta ettari di pannelli, in grado di produrre 20 megawatt di energia elettrica. Il progetto di parco fotovoltaico a Bagnoli di Sopra (Padova) dovrà vedersela con i “no” del sindaco e mondo agricolo, a partire dalla Cia.

A Loreo il primo agrovoltaico. Coldiretti, ricorso bocciato. Contro l’impianto fotovoltaico di Loreo (Rovigo), da 60 ettari, Coldiretti si era opposta persino con un ricorso. Niente da fare. Ricorso bocciato dal Tar, con via libera alla realizzazione del primo impianto agrovoltaico del Veneto.

(ansa)

LA SOLUZIONE / di Enrico Ferro

«Incentivare i tetti per risparmiare suolo. La Regione metta 50 milioni»

«Viviamo una condizione di emergenza per cui dobbiamo mettere in campo tutti gli strumenti possibili: abbiamo appena votato la nuova programmazione del Fesr 2021-2027, da lì la Regione trovi subito le risorse per un bando da 50 milioni a fondo perduto indirizzato alle Pmi per dotarle di pannelli fotovoltaici. È una richiesta che arriva da tutte le categorie economiche». Sarà questa la richiesta al centro della mozione che Giacomo Possamai, il capogruppo Dem in Regione, presenterà nei prossimi giorni. Lui è il primo firmatario ma l’istanza è condivisa anche con tutti gli altri colleghi del gruppo Pd.

«In questa azione potrebbe essere coinvolta Unioncamere per costruire un’azione coordinata e Veneto Sviluppo per quel che concerne l’aspetto finanziario. Sono iniziative già fatte in passato, ma in questo caso è fondamentale la rapidità», continua Possamai.

L’idea, dunque, è semplice e lineare. Per dare una mano concreta alle piccole e medie imprese strozzate dal caro energia la Regione dovrebbe garantire contributi a fondo perduto per l’installazione di pannelli fotovoltaici.

«L’impennata dei prezzi dovuta alla crisi pandemica, fattori congiunturali e il conflitto in Ucraina rischiano di mettere tante aziende definitivamente fuori mercato» aggiunge Possamai, che ha esaminato anche uno studio realizzato da Elettricità Futura, la branca di Confindustria che raggruppa tutti i produttori di energia elettrica.

«L’invito è a predisporre quanto prima un bando per erogare finanziamenti. Questo sostegno permetterebbe di differenziare le fonti di approvvigionamento, diminuire i costi grazie all’efficientamento energetico del ciclo produttivo rendendole più competitive e con benefici per i consumatori finali».

«E questo ci aiuterebbe anche a centrare l’obiettivo del 30% di energia da rinnovabili entro il 2030 previsto dal Pniec (Piano nazionale integrato per l’energia e il clima). Ma soprattutto è il modo più veloce ed efficace di aiutare le imprese, oltre ai necessari contributi economici per mitigare il costo da parte del Governo».

Possamai evidenzia poi il preoccupante rallentamento degli investimenti nelle rinnovabili da parte delle Pmi, anche a causa delle difficoltà per accedere agli incentivi.

«Servirebbero dei sostegni pensati ad hoc per invertire la rotta dell’ultimo decennio, dopo che si è chiusa la stagione di Conto energia. A ciò va aggiunta l’esclusione dei piccoli impianti fino a 20Kw, quelli maggiormente diffusi tra le piccole imprese».

«Come dimenticare poi un ulteriore problema tipicamente italiano, quello della burocrazia. In Europa siamo fanalino di coda per quanto riguarda le tempistiche: l’iter per ottenere il via libera a un impianto rinnovabile dovrebbe essere un anno, in media ne occorrono addirittura sette. E molti passaggi del processo autorizzativo riguardano direttamente il livello regionale».

***

Gianfranco Bettin e il problema energia: «Rinnovabili, serve uno scatto. Ma no ai campi fotovoltaici»

Il politico ambientalista: «Eliminando le lentezze burocratiche l’autoproduzione può aumentare enormemente»

VENEZIA. Gianfranco Bettin, sia come scrittore sia come politico, è sempre stato un pragmatico, poco incline ad innamorarsi di idee astratte che non avessero dietro fatti concreti. Un pragmatismo che è estremamente presente in “I tempi stanno cambiando. Clima, scienza, politica” (Edizioni E/O, p. 218, 9 euro), da ieri in libreria, in cui l’autore veneziano fa il punto sulle mutazioni climatiche e sulle politiche necessarie per arginarle, partendo da un gran numero di dati, perché –dice– «stiamo affrontando cose troppo importanti per parlarne a vanvera o in modo impressionistico ed emotivo».

Quanto è grave il problema dell’innalzamento delle temperature?

«I rapporti non lasciano dubbi, la situazione, dicono gli scienziati, è gravissima anche perché un dato come l’innalzamento della temperatura globale di fatto non esiste. È una media fra aree diverse e ci dice che la tendenza all’aumento è costante e generalizzata, ma in certe zone e purtroppo anche in una che ci riguarda direttamente come il Mediterraneo, l’aumento è stato molto maggiore. Il doppio della media».

E a questo aumento la materia si ribella.

«Tutto è fatto di atomi e molecole e se l’effetto dell’aumento della temperatura è che si scaldano gli atomi e le molecole è da lì che dobbiamo partire. È la materia che reagisce a questo stato di cose mutato, anche il tempo è un oggetto fisico, come ci hanno spiegato gli scienziati e per tempo intendo sia il tempo “che passa” sia il tempo “che fa”».

Per questo i tempi stanno cambiando?

«I tempi in cui viviamo sono tre. Il tempo che fa oggi, indicato dai bollettini meteo; il tempo che fa in questo periodo e cioè quello stagionale; il tempo storico che è il clima. Quando i tre tempi tendono a fondersi, perché attraverso i fenomeni estremi, ma anche attraverso l’implacabile tendenza al surriscaldamento, il meteo si impadronisce del clima si può ben dire che i tempi stanno cambiando. E non intendo solo per noi, per la nostra vita umana, come in questi giorni con la guerra, ma sta cambiando il tempo a un livello profondo, in senso fisico e chimico e questo ci riguarda in modo radicale».

Si può fare qualcosa?

«Prima di tutto non possiamo continuare a fare quello che abbiamo fatto per quasi dodicimila anni. Non dico che sarebbe l’apocalisse, ma la trasformazione fisica del pianeta, innescata dai mutamenti climatici e dalle conseguenze a catena che generano, renderà il pianeta largamente inospitale per molte popolazioni del mondo».

Anche qui?

«Basta leggere il rapporto sul dissesto idrogeologico dell’Ispra pubblicato l’altro giorno. Ci dice che il consumo di suolo eccessivo e i cambiamenti climatici mettono a rischio di inondazioni, siccità, erosione delle coste il 94% dei comuni italiani. Non è solo Bob Dylan a dirci che “i tempi stanno cambiando”».

Quindi transizione ecologica?

«Semplificando si può dire che abbiamo tre alternative. La prima è la conversione ecologica: tutte le istituzioni prendono atto a livello internazionale del problema e agiscono di conseguenza. Questo richiederebbe una condivisione, perché non può esistere giustizia climatica senza giustizia sociale, anche tra paesi. Come si comprende è difficile da realizzare. Più probabile è invece una transizione conflittuale come quella attuale, perché chi ha finora conseguito dei vantaggi dal modello di sviluppo difficilmente rinuncia a continuare ad averli. È un processo difficile, in cui qualcuno perde qualcosa e quindi bisogna gestirlo al meglio, evitando che il passaggio ad un nuovo modello energetico produca una crisi sociale ed economica peggiore di quella che si vuole evitare».

Terza alternativa

«Che si vada fuori controllo. La chiamo convulsione, la perdita di capacità di governo: è la prospettiva peggiore. È però esplicitamente evocata nei rapporti e in molti studi».

Con la guerra cambia qualcosa?

«Direi di no. Quello che emerge è che dobbiamo ridurre la dipendenza energetica dall’estero, ma questo si può fare solo con una più rapida transizione verso le energie rinnovabili. In questi mesi di crisi della bolletta energetica, solo le famiglie e gli imprenditori che avevano investito per tempo sulle rinnovabili, si sono salvati. Già oggi giacciono domande per l’utilizzo di energie rinnovabili per circa 60 gigawatt, cioè metà della produzione generale di cui ha bisogno il paese. Eliminando le lentezze burocratiche nel giro di pochissimo tempo si può aumentare enormemente la nostra autoproduzione».

Ma i ritardi, per esempio sull’eolico o sulle larghe estensioni di pannelli fotovoltaici non sono stati causati anche da riserve degli ambientalisti?

«In qualche caso ci sono stati eccessi. Certamente non si può intaccare con i pannelli il terreno agricolo, che ha bisogno anzi di investimenti e di una agricoltura sana e moderna. Però nulla impedisce di mettere i pannelli per esempio nelle aree abbandonate di Porto Marghera o in altri dei tantissimi posti simili che esistono in Italia».

Tornare al carbone, come si prospetta, ritornare al nucleare o rafforzare la produzione di gas?

«Anche ammesso che non avessero controindicazioni, e sappiamo che invece le hanno, con queste fonti servirebbero anni se non decenni per avere dei riscontri. Solo le rinnovabili possono assicurare risultati effettivi nei tempi brevi». —

NICOLÒ MENNITI – IPPOLITO

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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