PADOVA. Carlo Alberto non aveva mai avuto problemi di salute. Non aveva nessuna patologia. Aveva già fatto sport come tanti ragazzini della sua età. Eppure il suo giovane cuore è andato in cortocircuito e non c’è stato niente da fare. Le morti improvvise nei giovani e giovanissimi sportivi sono un dramma che la medicina combatte con determinazione e i risultati sono importanti.
Ne parliamo con la professoressa Cristina Basso, docente ordinaria di anatomia patologica dell’Università di Padova, tra le massime esperte a livello mondiale di cardiopatologie e morti improvvise.
«Nel corso degli ultimi decenni abbiamo individuato numerose malattie di questo genere», spiega la professoressa, «sapere che non si può tornare indietro è molto doloroso, ma dobbiamo concentrarci sugli approfondimenti perché capire le cause di questi episodi può aiutare gli altri. A cominciare dalla famiglia del soggetto perché fino al 40% sono casi che hanno base genetica ed ereditaria».Accade proprio negli sportivi, considerati il ritratto della salute: «Si tratta di difetti congeniti: il cuore nasce con un difetto di costruzione – continua la professoressa Basso – Non si muore subito perché non sempre sono difetti che portano alla morte. Spesso ad essere fatale è la combinazione tra il difetto – di cui la persona non è consapevole – e uno stimolo esterno, che può essere un’intensa emozione o uno sforzo importante.
Oppure ci possiamo trovare di fronte a delle situazioni genetiche: c’è un gene malato che, ad un certo punto, diventa una malattia. Può succedere che l’anno prima, o qualche mese prima, non c’erano avvisaglie e, qualche mese dopo, può comparire la malattia». Ed ecco il cortocircuito elettrico: «Si spegne improvvisamente la luce – spiega – il cuore non riesce più a pompare il sangue, non ha più un ritmo – sopraggiunge la fibrillazione – e il primo organo che ne risente irreversibilmente è il cervello, che non riceve più sangue».
Il drammatico paradosso può essere che il cuore riparta, ma il cervello non può: «Le cause sono tante, le dividiamo per scomparti. La medicina non è una scienza perfetta», sottolinea la professoressa, «abbiamo imparato a conoscere molte malattie e altre le conosceremo, ma esiste uno zoccolo duro che sfugge: non è tutto bianco o tutto nero.
La tragicità di questi episodi getta nello sconforto, ci fa sentire del tutto impotenti, invece dobbiamo ricordare che lo siamo – imponenti – per una frazione di malattie». Ci sono delle avvisaglie che possano suggerire ai genitori il pericolo?
«Non bisogna sottovalutare nessun sintomo – scandisce Basso – Il cuore che batte forte, un ragazzo che si sente svenire, la mancanza di respiro, un dolore al torace, la perdita di conoscenza. E poi la prevenzione.
In Veneto c’è la migliore medicina dello sport d’Italia, dunque non facciamoci prendere dalla fretta: mai avere fretta per un certificato». Dagli anni Ottanta il nostro sistema sanitario ha introdotto la visita sportiva per i bambini e i ragazzi: «dalla storia clinica del soggetto, all’elettrocardiogramma, fino al test da sforzo. Sulla base di questi risultati sifanno gli approfondimenti. Siamo un passo avanti rispetto ad altri paesi europei e all’America.
Basti pensare che questo sistema di prevenzione ha ridotto – dagli anni Ottanta ad oggi – dell’89% l’incidenza annuale del fenomeno negli sportivi. Bisognerebbe fare più prevenzione, ad esempio nel resto dei giovani che non pratica sport e dunque non si sottopone a screening annuale, in questo caso la mortalità è rimasta uguale»
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