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Onori ma anche oneri: ecco cosa deve fare Padova per meritarsi il timbro Unesco

Serve una gestione unica per gli 8 siti dell’Urbs Picta perciò è stato predisposto un piano di gestione che prevede investimenti per 1,4 milioni di euro

Elvira Scigliano
2 minuti di lettura

PADOVA. Adesso arriva il bello. Raggiungere il riconoscimento Unesco è stato un lavoro lungo e appassionato, ma “il bello” comincia il giorno dopo, quando inizia la gestione dei siti patrimonio dell’umanità.

Prima ancora di compiere un passo serve una riflessione prospettica: l’Urbs Picta, che afferisce a edifici e istituzioni diverse, deve poter contare su una regia unica. E questo dovrà essere chiaro al visitatore fin da lontano, apparendo lampante man mano che si avvicina al cielo stellato di Giotto.

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Non solo dovrà essere chiaro che parliamo di eccezionale valore universale, ma dovrà esserci alle spalle un Piano di gestione, una sorta di dossier tecnico di breve, medio e lungo periodo. In sintesi questo action plan padovano costa 1 milione e 400 mila euro – molti dei quali già stanziati, come i fondi per i restauri – che dimostrano le intenzioni del Comune e degli enti associati. Intorno al Piano di gestione ruota il cuore pulsante della burocrazia Unesco.

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Dal 2000 questo impegno concreto è diventato obbligatorio: bisogna dimostrare come si gestirà un pezzo di bellezza universale. Come fossero le promesse di amore eterno alla vigilia delle nozze, così il Piano di gestione preteso dall’Unesco è un impegno di grande responsabilità.

Che riassume le valutazioni che hanno portato alla scelta – significatività storica, culturale, estetica, archeologica, tecnologica, sociale – ma definisce anche i problemi e le vulnerabilità che incidono sul sito o che potrebbero farlo in futuro: condizioni fisiche, confini, risorse disponibili, fattori esterni, danni passati, aspettative di pubblico e comunità, accesso, controlli legali e potenziali conflitti.

A questo punto si sfodera la propria strategia, ovvero si presenta la propria Politica di conservazione. Si tratta di una metodologia che, guidata dalla grande mano della sicurezza, lambisce ogni rischio: dalle sventure ambientali agli incendi, dalla capacità di gestire i grandi flussi (e conseguenti piani di evacuazione) alla chiarezza informativa e comunicativa.

Insomma, se la fase della candidatura è una corsa colma di desideri e bramosa di arrivare al traguardo, il giorno dopo inizia la gestione ordinaria, meno affascinante, meno coinvolgente, più difficile ma altrettanto indispensabile a mantenere ed accrescere la bellezza di uno scampolo di patrimonio mondiale dell’umanità.

Il Piano di gestione del ciclo di affreschi del Trecento è già stato scritto, è risultato convincente, pertanto non ci sono dubbi che le intenzioni padovane siano di difendere il valore universale ed eccezionale del sito, attraverso un’efficace gestione a lungo termine.

Fin qui siamo alle intenzioni. Che saranno messe alla prova dalle procedure proprie dell’Unesco che hanno il preciso compito di verificare l’efficacia della tutela promessa.

Le minacce da tenere lontane sono numerose: l’impatto del vandalismo, lo sviluppo incontrollato dell’ambiente edificato, i cambiamenti climatici; ma anche in che misura (e deve essere una misura significativa) la strategia di gestione coinvolga le comunità locali, quindi serve partecipazione perché deve essere chiara la consapevolezza che i luoghi del patrimonio dipendono dal loro ambiente e viceversa.

E per palesare che non si dimentichi nessun passaggio è necessario un reporting periodico. Si tratta di un requisito formale del sistema del Patrimonio mondiale. Lo Stato ogni sei anni presenterà un rapporto sull’applicazione della Convenzione del Patrimonio mondiale sul proprio territorio. I rapporti periodici sono consegnati alla Conferenza generale dell’Unesco per il tramite del Comitato del Patrimonio mondiale.

Il Comitato è una mano amica che consiglia, aiuta, interviene, accompagna, pone rimedio, ma può anche farsi severa, fino a cancellare tutto il prestigio conquistato se fosse comprovato che il sito si è deteriorato al punto da perdere irrimediabilmente le caratteristiche che avevano portato alla sua iscrizione nella lista del Patrimonio mondiale.

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