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‘Ndrangheta in Veneto: condannati Bolognino e i suoi sodali. Forti pene anche agli imprenditori veneti che l’hanno aiutato

Il “boss” si è visto comminare 20 anni di prigione, il suo braccio destro Antonio Genesio Mangone 16 anni e mezzo. Al trevigiano Antonio Gnesotto 8 anni e 10 mesi, colpevoli anche i padovani Luca De Zanetti (9 anni e 4 mesi) ed Emanuel Levorato (5 anni e 4 mesi)

cristina genesin
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Sergio Bolognino e Antonio Genesio Mangone

 

PADOVA. Infiltrazioni della 'ndrangheta in terra veneta, è arrivata la sentenza del filone Padova del processo al clan Bolognino legato alla cosca calabrese guidata da Nicolino Grande Aracri.

Ecco le condanne: Sergio Bolognino, 52enne ritenuto al vertice della cosca veneta, residente a Tezze sul Brenta 20 anni. Antonio Genesio Mangone, calabrese 56enne considerato il picchiatore” del clan, 16 anni e 6 mesi; i calabresi Francesco Agostino 8 anni e 10 mesi, Antonio Carvelli assolto, Stefano Marzano 8 anni e 10 mesi, il trevigiano Antonio Gnesotto di Villorba 8 anni e 10 mesi, gli imprenditori padovani Luca De Zanetti di Vigonza 9 anni e 4 mesi (ma come vittima ha ottenuto un risarcimento) ed Emanuel Levorato di Vigonza 5 anni e 4 mesi.

Un totale di 65 anni e 10 mesi di carcere è il conto che il pm Paola Tonini della Dda veneziana, titolare dell'inchiesta, aveva presentato al clan.

Risarcimenti: 300 mila euro al ministero dell’Interno, altri 300 mila alla Presidenza del Consiglio, 400 mila alla Regione Veneto, 20 mila alla Cgil. Altri risarcimenti previsti per le vittime.

Bolognino, avamposto ’ndranghetista in terra Veneta. In particolare 18 anni di reclusione per Sergio Bolognino; 13 anni per il suo “picchiatore” Antonio Genesio Mangone, 8 anni per i “collaboratori” calabresi Francesco Agostino e Stefano Marzano; 5 anni e 6 mesi per l’imprenditore di Vigonza Luca De Zanetti e 5 anni e 4 mesi per il collega vigontino Emanuel Levorato; 8 anni per l’imprenditore trevigiano Antonio Gnesotto. Solo il calabrese Antonio Carvelli merita l’assoluzione secondo la pm.

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Le accuse contestate? Per Bolognino e Mangone le accuse sono di associazione a delinquere di stampo mafioso; tutti sono chiamati a rispondere di estorsioni tentate e consumate;

Bolognino è imputato pure per usura, lesioni e violenza privata. Secondo quanto emerso dal processo durato un anno Sergio Bolognino si è insediato in Veneto intorno al 2008, La pm colloca l’arrivo del clan

Bolognino intorno al 2008, occupandosi per conto della cosca Grande Aracri prima del Vicentino «dove impiegava i soldi della consorteria per le fatturazioni false e adescava le imprese prossime al fallimento» come aveva ricordato il pm nella sua requisitoria, poi espandendo l’area di operatività nel Padovano e nel Veneziano.

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Violento, senza remore o limiti, forte del sodalizio con il “picchiatore” Mangone, gli imprenditori vittime erano costretti a ubbidire agli ordini e in qualche occasione incastrati nell'ingranaggio tanto da vestire a loro volta i panni dei "carnefici" nei confronti di altri colleghi in difficoltà.

Mangone si vantava: «Io collaboro con i carabinieri in Calabria e sono intoccabile» non esitando a minacciare: «Ti spacco le gambe, ti spacco la testa... ti squaglio nell’acido... noi siamo quelli che tagliamo le gambe... ti scanno come un porco... ti uccido te, tuo figlio, stermino la tua famiglia». Parole che _ aveva insistito il pm _ sono una evidente conferma «dell’aggravante del metodo mafioso».

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Tra gli imprenditori veneti finiti dalla parte dei criminali, il trevigiano Antonio Gnesotto di Villorba, i padovani Luca De Zanetti ed Emanuel Levorato di Vigonza, a loro volta imprenditori accusati di estorsioni ai danni di “colleghi” incappati nella rete della cosca ’ndranghetista. In più di qualche occasione Gnesotto avrebbe trattenuto le vittime costringendole a stare davanti a Mangone e dicendo: « Se fossimo da noi tu saresti già sotto terra».

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