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Licenziamenti, scontro sul blocco 7.500 imprese con il fiato sospeso

Ferrari (Cgil Veneto): «Trentamila posti a rischio, Confindustria vuole la certezza di poter tagliare»

Riccardo Sandre
2 minuti di lettura

/ PADOVA

Da un parte la Confindustria del Nord, con il presidente veneto Enrico Carraro in prima linea. Dall’altra la Cgil che anche per voce del segretario regionale Christian Ferrari giudica «inaccettabile» la presa di posizione degli industriali. Il “terremoto” sul decreto Sostegni bis, e in particolare sullo sblocco dei licenziamenti, si avverte forte in Veneto. Una scossa che avrà ripercussioni, al punto che già si parla di retromarcia da parte del governo sulla proroga del blocco al 29 agosto (a fronte dell’odierna scadenza di fine giugno) per le imprese coperte da cassa Covid .

Una “tregua” che in Veneto – secondo le stime della Cgil – avrebbe riguardato 30 mila lavoratori attualmente in cassa integrazione Covid impiegati in circa 7.500 imprese (senza contare quelle artigiane e quelle dei servizi). Questi 30 mila lavoratori veneti che rischiano di vedere risolto il loro contratto a tempo indeterminato andrebbero ad aggiungersi ai circa 80 mila precari che hanno fino a ora perso il lavoro.

«L’unica cosa di cui non c’è bisogno in questo momento nel Paese è lo sblocco dei licenziamenti» ha detto ieri Ferrari insieme ad Alessandro Pagano (Cgil Lombardia), Pier Massimo Pozzi (Cgil Piemonte) e Luigi Giove (Cgil Emilia-Romagna) replicano ai presidenti di Confindustria «che chiedono certezze per poter licenziare».

«Il provvedimento del Governo sui licenziamenti» si legge in una nota congiunta « è un primo passo ancora insufficiente e deve essere completato per garantire la proroga certa del blocco fino almeno ad ottobre. Tempo necessario per consentire il rafforzamento degli ammortizzatori sociali in direzione di una copertura universale. In questa fase i lavoratori sono ancora alle prese con la crisi. Pertanto, vanno protetti, sostenuti e accompagnati nei processi di transizione economica, che saranno promossi con le risorse del Pnrr, attraverso progetti efficaci di formazione e riqualificazione professionale».

«La definizione della nuova data di agosto come pure le possibili deroghe al blocco a partire dall’1 di luglio sono insufficienti» aggiunge Ferrari. «Ci rendiamo perfettamente conto che si tratta di una misura emergenziale ma i tempi e i modi per la sua abolizione vanno ragionati con grande attenzione». Secondo i dati che la stessa Cgil riporta da fonti Veneto Lavoro, l’effetto del blocco dei licenziamenti è stato considerevole: tra il primo trimestre 2019 e il primo trimestre 2021, il numero dei licenziamenti individuali e collettivi per motivi economici registrati in regione è calato da oltre 9.700 a poco più di 3.500. Una flessione di circa i due terzi. Innegabile dunque l’effetto sul lavoro dipendente a tempo indeterminato di una norma che il sindacato chiede da mesi sia prorogata fino ad ottobre 2021.

«Quando indichiamo in circa 30 mila i posti di lavoro a rischio sul territorio regionale tra i contratti a tempo indeterminato con la fine del blocco» spiega Ferrari «lo facciamo prendendo in considerazione una finestra temporale ampia, e valutando le dinamiche dei flussi degli anni precedenti rispetto al periodo in esame. Un metodo che tende a sottostimare il fenomeno perché difficilmente l’estate 2021 potrà essere migliore o uguale di quella del 2019, visto e considerato che nel solo 2020 le ore lavorate sono calate del 10% e che per riuscire a recuperare il gap ci vorranno per lo meno 2 anni. Se si decide di dare il via libera ai licenziamenti troppo presto, in un economia che non ha avuto il tempo di ripartire, la catastrofe occupazionale rischia di essere alle porte».

In questo senso il sindacato fa appello anche alla Regione. «Da mesi chiediamo alla Regione l’apertura di un tavolo con tutte le parti sociali» conclude Ferrari. «Vorremmo raggiungere, insieme alle associazioni datoriali e alle istituzioni, un accordo che scongiuri i licenziamenti unilaterali». —

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