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Tamponi rapidi inaffidabili: il boom dei contagi in Veneto alimentato dall’errore delle autorità sanitarie

La spietata analisi del Presidente emerito dell’Istituto Veneto di Scienze Lettere e Arti: servono norme molto stringenti per ridurre la trasmissione del virus e allo stesso tempo esami in grado di individuare i positivi asintomatici

Gian Antonio Danieli*
3 minuti di lettura
(ansa)

Il virus Sars-Cov2, che causa Covid-19, è molto contagioso, ma relativamente pochi dei contagiati sviluppano una malattia grave e soltanto il 2-3% finisce in ospedale. La maggior parte dei contagiati, in assenza di sintomi, trascurano le precauzioni e per questo il contagio progredisce velocemente se non vengono imposte restrizioni.
 

Il Veneto aveva superato brillantemente il primo impatto dell’epidemia, grazie all’imposizione della zona rossa a Vo’, al rigoroso tracciamento dei contatti ed all’impiego della migliore tecnologia per la diagnosi molecolare dei contagiati. Ma già tra il 14 giugno e il 15 luglio erano stati registrati 132 ricoveri per Covid, di cui 5 in terapia intensiva, e 2.595 “positivi”, ossia contagiati. In cinque mesi siamo arrivati a 3.000 ricoverati, oltre 90.000 positivi e quasi 700 morti solo nell’ultima settimana di dicembre. Ricercare le possibili cause di tale disastro è quanto si deve fare per evitare che la cosa si ripeta.

Alla ripresa dell’epidemia, la Sanità regionale ha creduto di poter affrontare il problema del tracciamento dei contagi con i cosiddetti “test rapidi”: all’inizio con un test che presentava scarsissima affidabilità e successivamente con prodotti diagnostici migliori, ma comunque meno efficienti del test “molecolare”, così detto perché individua la presenza del materiale genetico del virus. I problema dei test rapidi, segnalato da diversi studi, è che talvolta indicano come “negativo” una persona che risulterebbe positivo al test “molecolare”.

Dato l’altissimo numero di test rapidi effettuati, la strategia dei “test rapidi” può aver rimesso in circolazione un numero non trascurabile di falsi negativi, alimentando il contagio. Una gravissima responsabilità deve essere attribuita alle Autorità sanitarie della Regione quando hanno obbligato le strutture ospedaliere ad utilizzare i test rapidi anche per il monitoraggio del personale medico e paramedico, non tenendo conto di un dovuto principio di precauzione, derivante dai dati di letteratura che ne sconsigliavano l’impiego.

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Un altro elemento degno di considerazione è la tardiva attivazione dell’app Immuni. A metà ottobre una persona che voleva comunicare il suo codice all’applicazione, si sentì rispondere dall’Ufficio Igiene di Padova che l’app Immuni non era attiva in Veneto. La dirigente Francesca Russo, si assunse poi pubblicamente la responsabilità della scelta di non attivare Immuni, ma in giugno lo stesso presidente Zaia aveva dichiarato in tivù: «In queste condizioni decisamente non la scarico, a noi Regioni ci mette in grossa difficoltà». Purtroppo, dall’inizio di settembre alla metà di ottobre, in Veneto si era già passati da 2.538 a 7.858 positivi.

La mancata attivazione di Immuni è stata probabilmente causata dal concorrente sviluppo della app Zero Covid. Questa app veniva definita in documenti ufficiali della Regione Veneto uno strumento di contrasto a Covid-19, che dovrebbe: «raccogliere su base volontaria i sintomi correlati al Covid-19 dei cittadini della Regione del Veneto al fine di garantire una presa in carico precoce dei casi da parte dei medici di base e del Sistema di igiene e sanità pubblica ed evitare la nascita di nuovi focolai» e dovrebbe «funzionare in tandem con i test rapidi, strumenti economici e facili da usare, che permetteranno di confermare rapidamente l’eventuale positività a Sars-Cov2 direttamente da casa, la cui sperimentazione è appena partita in Regione Veneto».
 

È verosimile che la ritardata attivazione in Veneto dell’app Immuni abbia consentito una più rapida diffusione del contagio; non va infatti sottovalutato che scoprire di aver avuto un “contatto” avrebbe sicuramente determinato maggior allarme nella popolazione, inducendo comportamenti più responsabili.

L’aver privilegiato la strategia dei “test rapidi” ha avuto un’altra conseguenza. Non essendo state previste strutture per isolare temporaneamente i contagiati, si è dovuto scegliere l’isolamento nella residenza, controllando per telefono lo stato di salute della persona confinata. Con l’aumentare vertiginoso del numero dei positivi, questa modalità è diventata ingestibile. Approfittando della circolare ministeriale del 12 Ottobre 2020 si è iniziato a cancellare automaticamente dalla condizione di “isolamento” tutti coloro che vi erano entrati 21 giorni prima. Il 10 novembre è avvenuto un primo “allineamento dei dati” cancellando 2.312 casi; una seconda volta, l’1 dicembre, sono stati cancellati 12.204 casi ed una terza volta, il 24 dicembre, altri 16.637 casi.

I “riallineamenti” dei dati forniti dalla Regione Veneto all’Istituto Superiore di Sanità stanno purtroppo diventando sempre più frequenti, tanto da attirare non documentate accuse che i dati siano manipolati. A livello nazionale si sono levate insinuazioni, sempre meno velate, che ci siano stati “addolcimenti” dei dati trasmessi all’Istituto Superiore di Sanità per poter restare in zona gialla.

Il 23 dicembre, la Dirigente Dr.ssa Francesca Russo ha dovuto chiarire: «Inizialmente non abbiamo caricato parte di questi dati per un problema di identificazione dello stato clinico dei pazienti. Poi abbiamo provveduto ad identificare lo stato clinico di questi soggetti e li abbiamo inviati all'Iss, c'è stato un passaggio informatico che ha creato questo problema in un momento di aumento forte di contagi. Quindi abbiamo provveduto a riparare a questo momentaneo calo di numeri e abbiamo subito recuperato». Purtroppo, sembra che la macchina di Azienda Zero, nonostante i molti addetti e la vantata informatizzazione, stia perdendo qualche colpo.

D’altra parte, all’inizio della seconda ondata dell’epidemia, sembra sia mancata agli uffici della Sanità regionale la capacità di prevedere la dimensione numerica della popolazione di positivi; sembra che nessuno si sia accorto che essendo ricoverate in ospedale il 2 ottobre 181 persone con diagnosi di Covid, i positivi asintomatici dovevano essere almeno trenta volte di più e che, poiché il loro numero era quasi raddoppiato in 15 giorni, sarebbe raddoppiato ancora, con un andamento esponenziale.

Al 30 dicembre, i positivi ricoverati sono 3.421 (3.070 in ospedali per acuti e 351 in strutture territoriali). I positivi asintomatici nella popolazione sono verosimilmente almeno trenta volte tanto, cioè tra 102.000 e 103.000, quelli identificati 90.117. Si fa presto a capire che attualmente sono contagiate almeno due persone ogni cento abitanti del Veneto.

Questa situazione giustifica norme molto stringenti per ridurre il contagio ma, anche se diminuisse fortemente il numero dei ricoveri, rimarrebbe un numero significativamente elevato di positivi asintomatici. Questi dovranno essere individuati il più celermente possibile con l’impiego di test affidabili, pena il riprodursi di una nuova crescita esponenziale con conseguente crescita esponenziale dei ricoveri e delle morti. —

*già Ordinario di Biologia applicata all’Università di Padova, Accademico dei Lincei, Presidente emerito dell’Istituto Veneto di Scienze Lettere e Arti
 

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