'Ndrangheta, blitz nel Veneto: 13 arresti. Ecco i nomi
Indagini dirette dalla Procure Distrettuale Antimafia nei confronti di appartenenti ad un’organizzazione criminale che operava nel veneziano

VENEZIA. Le mafie si muovono alla conquista del Veneto. I gruppi criminali organizzati, dalla camorra alla 'ndrangheta, sono ormai un sistema innervato nel territorio della regione, che in meno di un mese ha visto blitz a ripetizione con circa 100 arresti.
Con i 13 arresti di oggi e il sequestro di beni per 20 milioni di euro a personaggi collegati alla 'ndrangheta il dato viene sottolineato dal Procuratore della Dda di Venezia, Bruno Cherchi, secondo il quale, però, «il tessuto amministrativo e imprenditoriale del Veneto e la struttura sociale sono in grado di contrastare questo fenomeno».
Il blitz è scattato all'alba di martedì 12 marzo, quando Carabinieri e uomini della Guardia di finanza sono andati a prelevare, su ordinanza del Gip Gilberto Stigliano, gli indagati finiti nella rete della Distrettuale anti-mafia di Venezia, con l'inchiesta Camaleonte, coordinata dalla Pm Paola Tonini.
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Uomini che hanno costruito un autonomo clan in Veneto, partendo da Padova, con estensioni nelle province vicine ma anche in regioni limitrofe, come l'Emilia Romagna e la Lombardia. Tutti 'figlì della 'ndrina «Grande Acri» di Cutro (Crotone), che in Calabria ha tra i suoi boss di spicco Nicolino Grande Aracri, detto 'Il professore o Mano di gomma.
Le ipotesi d'accusa sono pesanti: i principali reati contestati sono l'associazione per delinquere di stampo mafioso, l'estorsione, la violenza, l'usura, il sequestro di persona, il riciclaggio, l'emissione di fatture per operazioni inesistenti. Tredici le persone finite agli arresti, 14 quelle ai domiciliari. Altre sei hanno l'obbligo di firma, mentre per altri sei è scattato l'obbligo di non esercitare impresa per 12 mesi.
La 'ndrangheta, così come accaduto per i gruppi legati alla Camorra scoperti a febbraio, è sbarcata da tempo in Veneto: prima riciclando denaro attraverso la droga e la prostituzione; poi con lo strozzinaggio. Gli 'ndranghetisti - ha ricostruito Cherchi - si presentavano ai piccoli imprenditori come semplici operai, per poi guadagnare posti di maggior rilievo quando, alla prima difficoltà economica dell'azienda, cominciavano a prestare denaro ai loro datori di lavoro (a tassi usurai fino al 300%).
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Di fronte all'impossibilità di rispettare le scadenze del debito l'imprenditore 'adescatò veniva minacciato, picchiato fino a che non cedeva l'azienda, o staccava false fatture per riciclare denaro, creando fondi neri che consentivano agli 'ndranghetisti di lanciarsi in nuovi 'investimentì da trasformare in usura. Le imprese controllate, con le false fatturazioni e l'evasione fiscale, hanno provocato un danno, in termini di concorrenza alle imprese sane, stimato in 8 mln di euro.
«Che si tratti di criminalità organizzata o no, questi figuri devono capire che il Veneto è terra di onestà e di legalità ha detto il Governatore Luca Zaia -, che non sopporta i delinquenti e che è supportata da inquirenti e forze dell'ordine tenaci, preparati, duri quanto serve. Pane duro da masticare per il crimine, che lo sarà ogni giorno di più».
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I NOMI DEGLI ARRESTATI
Adriano Biasion
Gaetano Blasco
Francesco Bolognino
Michele Bolognino
Sergio Bolognino
Donato Agostino Clausi
Vito Gianni Floro
Leonardo Lovo
Giuseppe Richichi
Francesco Scida
Pasquale Scida
Federico Semenzato
Mario Vulcano
L'INDAGINE E LE ACCUSE.
La cosca si era insediata nella provincia di Padova e in quelle contermini di Treviso, Vicenza e Venezia. In un contesto in cui non si è disdegnata l’uso della violenza nei confronti di diversi imprenditori gli uomini legati alla cosca acquisivano territorio e aziende per riciclare e sviluppare attività illecite.
I Carabinieri di Padova, con osservazione e ascolto delle conversazioni hanno portato alla luce diversi episodi qualificabili come di attività estorsiva e usuraia, con tassi di interesse fino ad oltre il 300%, in danno di imprenditori locali, nonché sono state riscontrate varie operazioni di riciclaggio di ingenti somme di denaro provenienti dalle attività illecite della cosca calabrese, realizzate attraverso l’emissione di fatture per operazioni inesistenti sfruttando anche con la complicità di imprenditori veneti.
In particolare è emerso come, dapprima con minacce e poi, se necessario, con aggressioni fisiche nei casi in cui le intimidazioni non fossero state sufficienti, siano stati modificati gli assetti societari delle aziende asservite agli indagati con la fittizia attribuzione di quote societarie, per arrivare anche all’estromissione dei legittimi proprietari.
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Nel tempo, i sodali dell’organizzazione criminale sono riusciti a penetrare nel tessuto socio - economico locale producendo, con la violenza e l’utilizzo di armi, attraverso “società cartiere”, tutto il supporto documentale necessario alle operazioni di riciclaggio, mascherando i reali profitti di aziende “pulite”, potendo così eludere il fisco, accantonare una ingentissima quantità di liquidità in nero e, non per ultimo, mettere a rischio i naturali meccanismi della concorrenza, producendo un danno calcolato in 8 milioni di euro per prezzo e profitto del riciclaggio e dei collegati reati di natura fiscale.
Agli indagati, a vario titolo, sono contestati i delitti di associazione mafiosa (art. 416 bis c.p.) e associazione per delinquere finalizzata all’estorsione, all’usura, al riciclaggio e al trasferimento fraudolento di valori. A quanto sopra si aggiunge anche la dichiarazione fraudolenta mediante emissione di fatture per operazioni inesistenti e la distruzione di documenti contabili, il tutto aggravato per avere commesso tali delitti avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416 bis c.p. e l’avere agevolato la cosca “Grande Aracri”.
Atlante criminale veneto, lo speciale multimediale
Nel corso delle indagini sono emersi stretti contatti tra esponenti della cosca ‘ndranghetista e una vasta platea di imprenditori veneti e intermediari a cui risultavano essere consegnate periodicamente cospicue somme di denaro contante.
Come appurato dai finanzieri di Mirano, gli obiettivi raggiunti erano da un lato la possibilità, in pochi giorni e con pochi passaggi di ripulire ingenti somme di denaro frutto delle proprie attività illecite, facendole apparire come frutto di operazioni commerciali.
Dall’altro l’organizzazione lucrava una percentuale sul contante consegnato agli imprenditori veneti, che veniva normalmente incorporato nell’IVA esposta nelle fatture false emesse dalle società cartiere, poi non versata all’erario. Gli imprenditori locali, dal canto loro, con il denaro contante fornito dall’associazione criminale si creavano dei fondi neri da utilizzare anche per fini personali, nonché dei vantaggi fiscali dati dall’utilizzo delle false fatturazioni. L’organizzazione aveva sostanzialmente creato un flusso perpetuo che poteva contare su numerose società conniventi, in cui le stesse somme riciclate venivano celermente reimmesse nel circuito delle false fatturazioni, così da generare ulteriori profitti.
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