In evidenza
Sezioni
Magazine
Annunci
Quotidiani GNN
Comuni

Il M5S: «Più coraggio nella lotta ai Pfas»

Berti e Brusco: «La Miteni va chiusa e ai dipendenti riconosciuta la malattia professionale»

2 minuti di lettura
VENEZIA. La battaglia contro i Pfas è nata a Sarego e porta la firma del M5S, che apre un nuovo fronte dopo la plasmaferasi: il riconoscimento della malattia professionale ai lavoratori della Miteni di Trissino, con una procedura analoga a quella dell’amianto.

«La delibera della giunta Zaia che abbassa i livelli dei Pfas a 30 nanogrammi litro è un timido passo avanti ma non ci possiamo accontentare perché quel limite riguarda solo l'acqua potabile e non sono previste sanzioni ai trasgressori: all’atto pratico non è cambiato nulla sulla qualità dell’acqua», dicono Jacopo Berti e Manuel Brusco.

Il capogruppo dei grillini nel maggio del 2015 con una delegazione di parlamentari e il sindaco di Sarego, ha depositato un esposto alla procura della Repubblica di Vicenza e da quel momento l’emergenza è diventata un caso nazionale. Scongiurato il rischio del colpo di spugna, «bisogna fare dei passi avanti concreti per garantire la tutela della salute pubblica e restano tre questioni aperte: il limite di 30 e 90 nanogrammi di Pfas nelle acque potabili va esteso a tutto il territorio nazionale e il ministero dell’Ambiente deve accogliere la proposta della regione Veneto, frutto di una nostra battaglia. Poi bisogna chiudere la Miteni a Trissino e bloccare la fonte d'inquinamento, come abbiamo deciso in consiglio regionale con una risoluzione votata all’ unanimità sulla base di una direttiva sanitaria firmata dal dottor Mantoan. Sono passati mesi e non è successo nulla», dice Berti.

«Ultima questione: va stabilito il principio di chi inquina paga e i costi del risanamento non possono essere scaricati sulle bollette dei cittadini perché i filtri per la depurazione idrica sono costosissimi» aggiunge il capogruppo M5S.

I grillini chiedono a Zaia, Coletto e Bottacin “più coraggio” perché in quella delibera non ci sono né sanzioni pecuniarie né ipotesi di reato contro l’ambiente: nel caso di inchiesta giudiziaria tocca alla magistratura dimostrare il danno ambientale, con la perizia sui valori di inquinamento e il mancato rispetto della delibera della Regione. Chi vuole avvelenare i fiumi ha ancora le mani libere».

Manuel Brusco, presidente della Commissione d’inchiesta, ricorda poi che i limiti riguardano i Pfas a catena lunga che non si producono più ma non esiste nessun vincolo per i Pfas a catena corta. E il limite dei 30 nanogrammi litro non è stato applicato agli scarichi industriali. Il nodo centrale resta il blocco della “fonte di inquinamento o di pressione”, quindi bisogna chiudere e spostare la Miteni, bonificare l'area e poi quantificare i danni da rimborsare ai cittadini. Nell’area rossa del Vicentino, il rischio tumore indotto da Pfas è superiore del 25% rispetto alla media e non si può perdere tempo in dibattiti» dice Brusco.

Nel dossier un capitolo a parte meritano i dipendenti della Miteni, le cui analisi mediche evidenziano livelli di Pfas 10 volte superiori a quelli dei dipendenti della Du Pont in America. «Sono stati riscontrati valori di 1 grammo-litro nel sangue, 9 milioni di volte oltre i limiti di tutela sanitaria. Credo che a questi dipendenti debba essere riconosciuta la malattia professionale con uno scivolo pensionistico contributivo simile a quello previsto a chi ha lavorato con l'amianto e si è trovato con il mesotelioma nei polmoni. La vicenda deve essere affrontata dal Parlamento, in tempi molto, ma molto rapidi» conclude Manuel Brusco.

Albino Salmaso



I commenti dei lettori