Il M5S: «Più coraggio nella lotta ai Pfas»
Berti e Brusco: «La Miteni va chiusa e ai dipendenti riconosciuta la malattia professionale»
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VENEZIA. La battaglia contro i Pfas è nata a Sarego e porta la firma del M5S, che apre un nuovo fronte dopo la plasmaferasi: il riconoscimento della malattia professionale ai lavoratori della Miteni di Trissino, con una procedura analoga a quella dell’amianto.
«La delibera della giunta Zaia che abbassa i livelli dei Pfas a 30 nanogrammi litro è un timido passo avanti ma non ci possiamo accontentare perché quel limite riguarda solo l'acqua potabile e non sono previste sanzioni ai trasgressori: all’atto pratico non è cambiato nulla sulla qualità dell’acqua», dicono Jacopo Berti e Manuel Brusco.
Il capogruppo dei grillini nel maggio del 2015 con una delegazione di parlamentari e il sindaco di Sarego, ha depositato un esposto alla procura della Repubblica di Vicenza e da quel momento l’emergenza è diventata un caso nazionale. Scongiurato il rischio del colpo di spugna, «bisogna fare dei passi avanti concreti per garantire la tutela della salute pubblica e restano tre questioni aperte: il limite di 30 e 90 nanogrammi di Pfas nelle acque potabili va esteso a tutto il territorio nazionale e il ministero dell’Ambiente deve accogliere la proposta della regione Veneto, frutto di una nostra battaglia. Poi bisogna chiudere la Miteni a Trissino e bloccare la fonte d'inquinamento, come abbiamo deciso in consiglio regionale con una risoluzione votata all’ unanimità sulla base di una direttiva sanitaria firmata dal dottor Mantoan. Sono passati mesi e non è successo nulla», dice Berti.
«Ultima questione: va stabilito il principio di chi inquina paga e i costi del risanamento non possono essere scaricati sulle bollette dei cittadini perché i filtri per la depurazione idrica sono costosissimi» aggiunge il capogruppo M5S.
I grillini chiedono a Zaia, Coletto e Bottacin “più coraggio” perché in quella delibera non ci sono né sanzioni pecuniarie né ipotesi di reato contro l’ambiente: nel caso di inchiesta giudiziaria tocca alla magistratura dimostrare il danno ambientale, con la perizia sui valori di inquinamento e il mancato rispetto della delibera della Regione. Chi vuole avvelenare i fiumi ha ancora le mani libere».
Manuel Brusco, presidente della Commissione d’inchiesta, ricorda poi che i limiti riguardano i Pfas a catena lunga che non si producono più ma non esiste nessun vincolo per i Pfas a catena corta. E il limite dei 30 nanogrammi litro non è stato applicato agli scarichi industriali. Il nodo centrale resta il blocco della “fonte di inquinamento o di pressione”, quindi bisogna chiudere e spostare la Miteni, bonificare l'area e poi quantificare i danni da rimborsare ai cittadini. Nell’area rossa del Vicentino, il rischio tumore indotto da Pfas è superiore del 25% rispetto alla media e non si può perdere tempo in dibattiti» dice Brusco.
Nel dossier un capitolo a parte meritano i dipendenti della Miteni, le cui analisi mediche evidenziano livelli di Pfas 10 volte superiori a quelli dei dipendenti della Du Pont in America. «Sono stati riscontrati valori di 1 grammo-litro nel sangue, 9 milioni di volte oltre i limiti di tutela sanitaria. Credo che a questi dipendenti debba essere riconosciuta la malattia professionale con uno scivolo pensionistico contributivo simile a quello previsto a chi ha lavorato con l'amianto e si è trovato con il mesotelioma nei polmoni. La vicenda deve essere affrontata dal Parlamento, in tempi molto, ma molto rapidi» conclude Manuel Brusco.
Albino Salmaso
«La delibera della giunta Zaia che abbassa i livelli dei Pfas a 30 nanogrammi litro è un timido passo avanti ma non ci possiamo accontentare perché quel limite riguarda solo l'acqua potabile e non sono previste sanzioni ai trasgressori: all’atto pratico non è cambiato nulla sulla qualità dell’acqua», dicono Jacopo Berti e Manuel Brusco.
Il capogruppo dei grillini nel maggio del 2015 con una delegazione di parlamentari e il sindaco di Sarego, ha depositato un esposto alla procura della Repubblica di Vicenza e da quel momento l’emergenza è diventata un caso nazionale. Scongiurato il rischio del colpo di spugna, «bisogna fare dei passi avanti concreti per garantire la tutela della salute pubblica e restano tre questioni aperte: il limite di 30 e 90 nanogrammi di Pfas nelle acque potabili va esteso a tutto il territorio nazionale e il ministero dell’Ambiente deve accogliere la proposta della regione Veneto, frutto di una nostra battaglia. Poi bisogna chiudere la Miteni a Trissino e bloccare la fonte d'inquinamento, come abbiamo deciso in consiglio regionale con una risoluzione votata all’ unanimità sulla base di una direttiva sanitaria firmata dal dottor Mantoan. Sono passati mesi e non è successo nulla», dice Berti.
«Ultima questione: va stabilito il principio di chi inquina paga e i costi del risanamento non possono essere scaricati sulle bollette dei cittadini perché i filtri per la depurazione idrica sono costosissimi» aggiunge il capogruppo M5S.
I grillini chiedono a Zaia, Coletto e Bottacin “più coraggio” perché in quella delibera non ci sono né sanzioni pecuniarie né ipotesi di reato contro l’ambiente: nel caso di inchiesta giudiziaria tocca alla magistratura dimostrare il danno ambientale, con la perizia sui valori di inquinamento e il mancato rispetto della delibera della Regione. Chi vuole avvelenare i fiumi ha ancora le mani libere».
Manuel Brusco, presidente della Commissione d’inchiesta, ricorda poi che i limiti riguardano i Pfas a catena lunga che non si producono più ma non esiste nessun vincolo per i Pfas a catena corta. E il limite dei 30 nanogrammi litro non è stato applicato agli scarichi industriali. Il nodo centrale resta il blocco della “fonte di inquinamento o di pressione”, quindi bisogna chiudere e spostare la Miteni, bonificare l'area e poi quantificare i danni da rimborsare ai cittadini. Nell’area rossa del Vicentino, il rischio tumore indotto da Pfas è superiore del 25% rispetto alla media e non si può perdere tempo in dibattiti» dice Brusco.
Nel dossier un capitolo a parte meritano i dipendenti della Miteni, le cui analisi mediche evidenziano livelli di Pfas 10 volte superiori a quelli dei dipendenti della Du Pont in America. «Sono stati riscontrati valori di 1 grammo-litro nel sangue, 9 milioni di volte oltre i limiti di tutela sanitaria. Credo che a questi dipendenti debba essere riconosciuta la malattia professionale con uno scivolo pensionistico contributivo simile a quello previsto a chi ha lavorato con l'amianto e si è trovato con il mesotelioma nei polmoni. La vicenda deve essere affrontata dal Parlamento, in tempi molto, ma molto rapidi» conclude Manuel Brusco.
Albino Salmaso
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