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La Regione: nuovi acquedotti in 4 anni

Il Cipe sblocca gli 80 milioni promessi. Bottacin: «Tre condotte attingeranno a Recoaro, Carmignano e Piacenza d’Adige»

di Filippo Tosatto
2 minuti di lettura
VENEZIA. L’onda lunga dei Pfas lascia alle spalle una scia velenosa di allarme e disagio ma finalmente, dopo mesi scanditi da riscontri inquietanti, si profila un primo spiraglio di soluzione. Perché il Cipe (ottenuto il via libera della Corte dei Conti) ha sbloccato gli 80 milioni promessi dal Governo al Veneto per realizzare i nuovi acquedotti destinati a rifornire la “zona rossa” che dall’Alto Vicentino si irradia alla Bassa Padovana e alle aree di confine del Veronese e del Polesine.

«È una notizia che aspettavamo da tempo, queste risorse ci permetteranno di avviare gli interventi già programmati, che eseguiremo in vari stralci per concluderli, presumibilmente, nell’arco di un quadriennio», il commento dell’assessore regionale all’ambiente Giampaolo Bottacin; ma quali saranno i tracciati e dove sarà attinta l’acqua “pulita”? «Il primo passo sarà quello di “tappare” le tubazioni che attingono alla falda di Almisano contaminata dalle sostanze perfluoroalchiliche. Attualmente sono dotate di filtri al carbonio attivo che assicurano la potabilità ma si tratta di una misura temporanea. Il piano di Veneto Acque è quello di prelevare il fabbisogno idrico corrispondente, circa 500 litri al secondo, da tre circuiti di pozzi - a Recoaro, Carmignano di Brenta e Piacenza d’Adige - convogliandolo, attraverso le nuove condotte, nella rete di Almisano, così da sanare il problema alla radice». Pur provvisorio, il ricorso al carbonio si è rivelato determinante: «I meccanismi filtranti nelle acque, da noi richiesti fin dal 2013 e attuati dalla Regione Veneto, ha interrotto la contaminazione dei prodotti agroalimentari», fa sapere il ministero della Salute.

Irrisolto, invece, il nodo riguardante la limitazione legislativa delle concentrazioni di Pfas su base nazionale. Sollecitato in tale direzione, il ministero ha opposto un diniego, motivato dalla presunta assenza del fenomeno inquinante nel resto del Paese, accompagnato dall’invito a Palazzo Balbi a provvedere motu proprio in ambito veneto: «È vero che potremmo abbassare ulteriormente i valori, ma esclusivamente per le sostanze attualmente normate, che rappresentano soltanto una parte del rischio, per molte altre il problema resta e travalica le nostre competenze», ribatte Bottacin «tant’è vero che abbiamo ricevuto parecchi ricorsi per eccesso di potere quando siamo intervenuti con atti amministrativi e, unici in Italia, abbiamo imposto agli scarichi industriali gli stessi limiti delle acque potabili. In assenza di una norma di nazionale chiara, c'è il rischio concreto di soccombere in giudizio, cosa già accaduta in una circostanza. Picchi di Pfas limitati al Veneto? A contraddire il ministro non siamo noi ma il Cnr che ha accertato gravi contaminazioni in più regioni del Paese. Ma noi, a differenza di altri, li abbiamo cercati e contrastati».

Sullo sfondo, la schermaglia politica. «Se la Regione non si mette a lavorare per un piano serio di contrasto a questi pericolosi inquinanti come si fa ad arrivare a una soluzione? Da almeno quattro anni esiste un'emergenza Pfas in Veneto e il governatore Zaia che fa? Si sveglia solo adesso e incolpa Roma. Così non si va da nessuna parte e chi paga le conseguenze del suo immobilismo sono i veneti», punge la dem Alessandra Moretti. Mentre i 5 Stelle, per voce del senatore Enrico Cappelletti e dei consiglieri regionali, accomunano nella critica il Governo nazionale e quello del Veneto: «Non crediamo né alle parole del ministro dell’ambiente Galletti né alle intenzioni di Zaia. Vogliamo i fatti. Mentre loro fanno a gara a chi la spara grossa in chiave elettorale, qui ci sono 350 mila persone a rischio e un'azienda, la Miteni, che continua beatamente ad inquinare».



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