Soldi ai partiti per tre elezioni
MESTRE. Sui due conti correnti svizzeri, rintracciati dalla Guardia di Finanza e dal pm Stefano Ancillotto e attribuiti a Piergiorgio Baita, sono transitati, negli ultimi anni, diversi milioni di...
di Carlo Mion
MESTRE. Sui due conti correnti svizzeri, rintracciati dalla Guardia di Finanza e dal pm Stefano Ancillotto e attribuiti a Piergiorgio Baita, sono transitati, negli ultimi anni, diversi milioni di euro. Non è chiaro se questi soldi siano serviti per questioni personali all’ex presidente e ad della Mantovani, oppure se fossero a disposizione della società padovana. Gli inquirenti però hanno il forte sospetto che in quei conti siano transitati fondi neri ad uso e consumo del sistema-Baita. Fondi creati grazie alla “società cartiera” di San Marino del faccendiere Wiliam Colombelli. Fondi neri già ampiamente dimostrati dalle indagini e dalle confessioni del ragioniere Nicolò Buson, dell’ex segretaria di Giancarlo Galan Claudia Minutillo e dallo stesso Colombelli.
Per il momento gli investigatori delle fiamme gialle hanno visionato i transiti svizzeri ma non hanno ancora individuato esattamente dove siano finiti i quattrini. E soprattutto stanno verificando se a quei conti aveva accesso solo Piergiorgio Baita o anche altre persone. Non viene nemmeno escluso a priori che Baita abbia aperto quei conti a titolo personale e che poi siano stati utilizzati anche per altri scopi.
Naturalmente dovrà essere Baita a spiegare agli investigatori quei transiti: a chi sono finiti i soldi visti passare e poi sparire nel nulla. Da quando Baita ha deciso di cambiare strategia difensiva, sostituendo i legali dello studio Longo e Ghedini con l’avvocato mestrino Alessandro Rampinelli e con il vicentino Enrico Ambrosetti, gli investigatori si aspettano la collaborazione del manager. Nel primo interrogatorio in carcere a Belluno, durato quattro ore, Baita ha ammesso le responsabilità sui fatti che gli vengono contestati, confermato una parte delle confessioni rese da Minutillo, Buson e Colombelli e raccontato di aver pagato dei partiti, di destra e di sinistra, in occasione di almeno tre campagne elettorali. Ha spiegato di aver versato alla fin fine alcune centinaia di migliaia di euro. Poca cosa secondo gli inquirenti considerato l’ammontare dei fondi neri fin qui accertato.
Un racconto che sarebbe stato percepito, da parte degli inquirenti, come un tentativo di Baita di sminuire la sua posizione. La strategia del manager è quella di un indagato che cerca di capire quanto l’accusa sia disposta a cedere sulle misure restrittive in cambio di collaborazione. Per il momento l’ammissione del finanziamento illecito dei partiti non consentirà a Baita di ottenere grandi benefici. Anche perché la vicenda è già emersa dagli elementi fin qui raccolti dagli inquirenti. Insomma, se Baita vuole uscire dalla cella dov’è rinchiuso da fine febbraio, dovrà raccontare ben altro. Dovrà spiegare come la Mantovani, da lui diretta, sia diventata l’assoluta regina delle opere pubbliche realizzate in Veneto negli ultimi vent’anni e dove siano finiti i quasi trenta milioni di euro di fondi neri messi da parte grazie alle fatture false provenienti dalla cartiera sanmarinese intestata a Colombelli. Gli inquirenti guidati dal pm Ancillotto, affiancato ora dal collega Stefano Buccini, non hanno mai fatto mistero che quei soldi sarebbero serviti per pagare tangenti. A chi? La speranza è che a rivelarlo, prima o poi, sia Baita.
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