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Operai, cioè imprenditori risorgono le Fonderie Zen

Albignasego, l’autogestione dei dipendenti ha salvato 115 posti di lavoro Ognuno di loro ha investito 2.000 euro del Tfr per rilanciare l’azienda

di Cristina Salvato
2 minuti di lettura

ALBIGNASEGO. Dalle ceneri delle Fonderie Zen, l’impresa è ripartita grazie alla volontà e alla tenacia dei suoi lavoratori. Che davanti alla prospettiva di rimanere senza un impiego, visto il fallimento dell’azienda, hanno avviato, a spese loro, una società e una cooperativa, che gestiscono attualmente l’impianto. Grazie a questo esempio di “autogestione” si sono salvati 115 posti di lavoro e l’impresa è andata avanti. «Certo con difficoltà», ammette Michele Pra, l’amministratore delegato, «perché le commesse sono scarse e il lavoro stenta a ripartire velocemente, tanto che all’inizio dell’anno si è resa necessaria una decina di giorni di cassa integrazione». Se poi ci si mettono pure le banche, è difficile vedere il buio alla fine del tunnel. «Da sei mesi attendiamo dalla banca il finanziamento per l’anticipazione delle fatture», prosegue Pra, «e ancora non ci ha risposto. E’ vero che un “no” non è mai stato pronunciato, ma nemmeno un “sì” e questo “ni” ci tiene fermi e bloccati». Discorso ormai troppe volte sentito e risentito, dal piccolo imprenditore all’azienda che tenta il rilancio. E i “no” pesano come macigni sulle spalle di tanti imprenditori, che la disperazione e la mancanza di una prospettiva futura porta anche al suicidio. «I tempi di attesa delle risposte dalle banche portano veramente al suicidio», conclude l’ad, «perché a noi aziende basterebbe una piccola iniezione di fiducia. Almeno ci fornissero un finanziamento per la parte di capitale circolante. Noi guardiamo avanti e speriamo nel futuro».

In cinquant’anni di storia le fonderie Zen di Albignasego avevano offerto lavoro a centinaia di lavoratori: tecnici, impiegati e operai ai forni. Gli anni del boom furono gli anni Settanta con la crescita della produzione, ma arrivò il 2009, quando un’amministrazione poco avveduta, insieme alla crisi economica mondiale, misero in ginocchio l’azienda. Iniziano i picchetti degli operai davanti ai cancelli in via Marco Polo per scongiurare l’uscita degli stampi dalla fabbrica, che avrebbe voluto dire il blocco totale del lavoro e la conseguente morte dell’azienda. La ditta fallisce e finisce in amministrazione straordinaria sotto il commissario di nomina ministeriale Giannicola Cusumano, che con i pochi soldi rimasti nel conto corrente paga gli stipendi arretrati ai dipendenti e crede in un piano di rilancio. Le commesse ci sono e il pacchetto clienti pure. Su questi presupposti i lavoratori decidono di diventare imprenditori e protagonisti del loro destino e del loro futuro. I “quadri” fondano una società, la Zen Fonderie srl, mentre gli operai si riuniscono nella cooperativa Clf (Cooperativa lavoratori della fonderia), mettendo 2 mila euro a testa del loro tfr: considerando che erano in cassa integrazione da mesi è stato un vero atto di fiducia e di coraggio. Il progetto piace e attira due milioni e mezzo di capitali pubblici e privati, nel piano di rilancio che vede la nascita della nuova società dentro cui far confluire linfa economica fresca: arriva, infatti, la milanese Overseas industries spa, che costituisce il 70 per cento del nuovo assetto societario, mentre gli operai il 5 per cento e il 25 i manager. Doveva essere della partita anche Veneto Sviluppo (la finanziaria che gestisce i quasi 900 milioni di euro, che la Regione ha a disposizione per il sostegno alle imprese venete), ma non ha ancora formalizzato il suo ingresso in questo progetto, nonostante l’annuncio fatto a novembre. Il piano prevedeva di aumentare del 25 per cento la produzione e di assumere altri 30 lavoratori in tre anni. Se riusciranno a far riaprire i rubinetti chiusi delle banche e ad abbattere quello che in questo momento è il costo maggiore, ovvero la spesa per la corrente elettrica per mantenere in funzione i forni, il cui costo è aumentato del 40 per cento in due anni.

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