Ma quanti voti sposta Twitter?
La prima campagna elettorale giocata sui social network
Dino Amenduni
"Quanti voti sposta Twitter?" È uno dei quesiti più gettonati tra gli addetti ai lavori di questa campagna elettorale. Il peso dei social media sul comportamento elettorale alle politiche 2013 non può che essere superiore rispetto a cinque anni fa. Nel 2008 c'erano seicentomila iscritti a
Facebook, oggi sono oltre 22 milioni. Su Twitter si raggiungono cifre più modeste - tre milioni e mezzo di italiani - ma le conversazioni tra i principali attori della contesa elettorale (giornalisti, politici, partiti, dirigenti, opinion leader) sono più frequenti, più facilmente tracciabili e dunque più rilevanti dal punto di vista giornalistico. Di conseguenza ci sono molti più utenti su Facebook, e dunque ci sono molti più voti da "spostare", ma non è detto che l'ecosistema di Twitter sia meno potente nel determinare e orientare il comportamento elettorale. L'analisi però rischierebbe di essere viziata se non considerassimo il grande, sottovalutato e ancora irrisolto paradosso della comunicazione politica online in Italia. Alcuni politici hanno capito che i social media possono servire a cercare un rapporto diretto con gli elettori, libero dalla mediazione di giornali, radio e tv e per questo aggiornano sempre più spesso in prima persona le loro pagine Facebook e i loro profili Twitter. Allo stesso tempo questa relazione è molto spesso finalizzata a ricercare profili di "notiziabilità" sui mezzi tradizionali. In sintesi, il politico italiano ha deciso di twittare per poter dare notizie o dire la sua senza dover dipendere dai media, ma allo stesso tempo ha bisogno che i media riprendano il suo tweet per ottenere l'attenzione del grande pubblico. La politica sta sui social media per emanciparsi dai giornali,
ma in realtà i grandi fenomeni della Rete diventano tali solo quando i media tradizionali decidono che devono esserlo. Un caso di scuola, in questo senso, è rappresentato dal lancio dell'account Twitter di Mario Monti: mentre gli analisti restituivano recensioni impietose sull'esperienza, ritenuta insufficiente dal punto di vista tecnico, la notizia della conversazione in diretta tra il premier e gli utenti era in testa alle agende di tutti i giornali e le televisioni. I media tradizionali hanno parlato cosìý tanto del profilo Twitter di Monti da indurre il grande pubblico a iscriversi a quel profilo a prescindere dall'efficacia delle azioni online del premier. In dieci giorni Monti ha attratto 180mila follower, allineandosi in poco tempo alle performance dei suoi principali avversari, che però sono arrivati a questi numeri dopo anni di lavoro quotidiano sui social media. Il peso di Twitter come agente diretto di persuasione appare quindi molto limitato e comunque non giustifica tutta
l'attenzione giornalistica e analitica sull'argomento. Twitter in Italia "sposta voti" (o meglio, gli utenti che usano Twitter "spostano voti") solo se giornali e televisioni decidono di dare spazio alle storie apparse all'interno di quell'ecosistema. Fino a quando i politici non si prenderanno carico di rispondere efficacemente alla domanda madre di qualsiasi utente dei social media ("perché dovrei seguire gli aggiornamenti di un profilo di un politico su Facebook o Twitter?") rispondendo in modo puntuale alle domande fatte loro dagli italiani e dimostrando che l'ascolto è finalizzato al miglioramento delle proprie azioni amministrative o politiche e fino a quando i social media saranno un modo apparentemente innovativo di comunicare come hanno sempre fatto (cioè dall'alto al basso) il loro successo online dipenderà sempre, e solo, dalla clemenza dei giornalisti e non dal consenso degli italiani.
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