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Telemedicina, a Padova quasi 10 mila prestazioni: «Ora abbiamo reso il futuro presente»

Dalle visite a distanza ai trapiantati durante la pandemia, fino a un sistema che «consente di garantire cure in sicurezza»

Simonetta Zanetti
3 minuti di lettura
Il professor Vladimiro Vida, il direttore generale Giuseppe Dal Ben e il dottor Ezio Ferrari 

La necessità si è fatta virtù. È in estrema sintesi l’evoluzione della telemedicina in Azienda Ospedale Università, nata con singoli progetti prima del Covid, estrogenata durante la pandemia appunto per necessità, e diventata grande e forte quando l’emergenza è passata. «Della telemedicina si parla da una vita ma è cresciuta molto durante la pandemia diventando fondamentale» spiega il direttore generale dell’Azienda Giuseppe Dal Ben.

Nel 2022 il volume complessivo di televisite erogate è stato di 8.566 prestazioni per un totale di 6.266 pazienti con una previsione per quest’anno di arrivare a 9.624 prestazioni e 7.132 pazienti e l’ulteriore obiettivo di crescere del 10% nel 2024. «Abbiamo sviluppato una serie di progetti in grado di garantire la qualità delle cure anche a distanza. E ora siamo di fronte a quel futuro che ormai si è fatto presente» prosegue il manager.

LA TELEMEDICINA

I servizi della telemedicina comprendono la telemedicina specialistica, ovvero la televisita, in cui il medico interagisce a distanza con il paziente, il teleconsulto, cioè la consulenza a distanza tra medici e la telecooperazione tra sanitari. Quindi ci sono la telesalute, dominio dell’assistenza primaria che riguarda i servizi che collegano i pazienti, soprattutto cronici con i medici per diagnosi, monitoraggio e gestione e la teleassistenza, sistema socio-assistenziale per la presa in carico di anziani e fragili a domicilio, tramite la gestione di allarmi e servizi di emergenza.

EFFETTO LOCKDOWN

La necessità di offrire più sanità possibile a distanza è esplosa, va da sé, con il lockdown, a partire dai trapiantati: «Avevano bisogno di visite particolari e muoversi era diventato molto più difficile» racconta il dottor Ezio Ferrari, coordinatore delle attività di telemedicina «abbiamo molti pazienti che arrivano da fuori regione e con la chiusura dei confini abbiamo fatto fatica a farli tornare a casa.

La prima vera telemedicina con visione del paziente e caricamento degli esami a distanza l’abbiamo realizzata grazie al dottor Boetto, dell’equipe del professor Cillo, per i trapianti di fegato. Ovviamente, in un’Azienda come questa quando parte uno gli altri gli vanno dietro ed ecco che quindi è partita la procreazione medicalmente assistita con donne in arrivo da tutta Italia, spesso con poco tempo a disposizione e per cui interrompere il percorso voleva dire perdere una potenziale maternità.

Con la professoressa Andrisani abbiamo realizzato un meccanismo di telemonitoraggio e teleconsulenza in modo da non bloccare il percorso». In questa fase è stato anche sbriciolato un dogma, affidando alla telemedicina non più solo i controlli ma anche le prime visite: «Per molte prime visite, come Pma o con un genetista, non c’è bisogno di contatto fisico poiché si tratta sostanzialmente di colloqui per la raccolta dati che sviluppano poi una serie di esami».

Quindi ci sono stati i servizi legati a forme di disagio: «Complice il periodo registravamo diversi accessi per coma etilico e con dottoressa Zanella abbiamo organizzato la presa in carico tramite Pronto Soccorso o la Psichiatria» prosegue Ferrari «lo stesso dicasi per il grande numero di Tso dei pazienti che non potevano più accedere ai servizi, per cui si è attivata anche la Psichiatria».

LE LISTE D’ATTESA

A quel punto, però «abbiamo visto una chiave di volta per cui potevamo intervenire anche sulle liste d’attesa» aggiunge «avevamo capito che una volta ripresa l’attività ci saremmo ingolfati e quindi abbiamo previsto una serie di controlli come reumatologia ed endocrinologia. Poi a catena ne sono seguiti altri. Questo ci ha permesso di smaltire i controlli che non necessitavano della presenza del paziente arrivando alla fine dell’emergenza senza grossi problemi».

Questo ha consentito, inoltre, di liberare spazi negli ambulatori: non richiedendo un luogo diverso dallo studio medico, le visite potevano essere programmate più agevolmente. «Così aumenti l’offerta di prime visite: avendo due agende diverse, ci sono meno controlli in quota al Cup» chiarisce. Nel frattempo, il sistema è esondato anche nella libera professione perché i pazienti chiedevano di scegliersi il medico.

IL SISTEMA

Superata l’emergenza della telemedicina su Whatsapp dei primi giorni del lockdown, l’Azienda ha provveduto a modificare un programma già usato tra i medici per i tavoli multidisciplinari interni. Il programma consente di caricare tutti i documenti necessari con esami strumentali e referti in un software dedicato e sicuro.

Il sistema è semplice: il medico propone la telemedicina al paziente che, se accetta, riceve le indicazioni necessarie. Quando è pronto manda una mail all’Azienda che lo ricontatta: «Gli viene fornito un link cui collegarsi e la prima volta viene seguito da un’infermiera che gli insegna come caricare la documentazione. Dopodiché il medico emette la ricetta e fissa l’appuntamento a distanza e una volta erogata la prestazione il referto viene inviato sia alla posta elettronica del paziente che sul suo fascicolo sanitario» chiarisce Ferrari. Il paziente deve avere a disposizione un pc o uno smartphone, mentre, nel caso del telemonitoraggio i device sono forniti dall’Azienda.

Dopo il telemonitoraggio cardiaco, in lockdown erano iniziate le spirometrie su pazienti con asma grave, i più a rischio in quel periodo: l’esame veniva fatto a casa e il tracciato comunicato direttamente alla fisiopatologia respiratoria che lo refertava. Lo stesso succedeva con i diabetici, quindi per i trapiantati. «Ne avevamo dimessi due con le medicazioni da fare e grazie alla telemedicina medico e infermiere hanno spiegato loro come farlo a casa. Da allora ne abbiamo seguiti tantissimi. Lo stesso vale per la geriatria: quando tutti gli infermieri erano stati dirottati sui vaccini, abbiamo cominciato a insegnare a badanti e parenti a gestire le piaghe da compressione» conclude Ferrari.

Chiosa Dal Ben: «Questo sistema ci consente di sviluppare sempre di più l’integrazione con il territorio di cui tanto si parla, con un vantaggio anche sul fronte di mobilità e spazi. E così avvicini l’ospedale alla persona che si sente presa in carico».

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