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A Padova un trapianto di cellule per curare il diabete senza insulina. Già in lista dieci pazienti

Innovazione terapeutica in Azienda Ospedale Università. Si attende l’autorizzazione per procedere con gli interventi

Elvira Scigliano
2 minuti di lettura

Il dg Giuseppe Dal Ben stringe la felpa donatagli dai medici e infermieri del Centro Terapia Cellulare del Diabete 

 

Il Centro Regionale Terapia Cellulare del Diabete dell’Azienda Ospedale Università, ha scritto un altro pezzo di storia. Alla Facility del centro gli specialisti padovani hanno isolato le prime cellule beta dal pancreas. È già iniziata la procedura per le autorizzazioni da parte del Centro nazionale trapianti ed entro l’anno le équipe multidisciplinari degli specialisti Paolo Rigotti, direttore della Uoc Chirurgia dei trapianti di rene e pancreas, Lucrezia Furian, responsabile del Centro regionale terapia cellulare del diabete e Gian Paolo Fadini, Uoc malattie del metabolismo, saranno pronte ad eseguire il primo trapianto di cellule insule su uno dei 10 pazienti già selezionati (su 129 candidati) e in lista di attesa.

L’anno prossimo potrebbero ricevere il trapianto anche gli altri 9 pazienti e si aprirebbe questa innovativa opportunità terapeutica che mira a rendere i malati di diabete indipendenti dall’insulina.

«Il pancreas ha due funzioni – spiega la dottoressa Furian – una esocrina ed una endocrina. La porzione esocrina comprende il 95% delle cellule dell’organo; la porzione endocrina il 5% che sono appunto le cellule insule di Langerhans che regolano i livelli del glucosio nel sangue e che ci interessano per questa pratica».

Dunque proprio la separazione di questi due gruppi di cellule è la parte più complicata del trapianto: «Isolare le cellule insule non è facile – continua la dottoressa – Una volta prelevato il pancreas da un donatore deceduto inizia la “manufacturing facility”: screening e verifica dell’organo prima che sia accettato, decontaminazione, perfusione, digestione, purificazione, coltura, controllo di qualità. Sono operazioni che coinvolgono 5-6 persone per 8-10 ore, non c’è nulla di facile o automatico. Solo dopo si procederà al trapianto nel paziente».

La parte più difficile è la digestione perché il rischio è che vengano digerite anche le cellule insule: ci vuole un occhio allenato e precisissimo per capire quando fermarsi. «A maggio – continua la dottoressa – sono arrivati dei colleghi da Chicago, che ci hanno mostrato la procedura – che loro fanno già da molto tempo – e si sono complimentati con la nostra struttura».

Negli Usa il trattamento non è considerato un trapianto ma un’opzione farmacologica. Pertanto non pagato dalle compagnie assicurative e quindi ancora poco utilizzato. In Italia invece lo fanno solo a Milano: al San Raffaele e all’ospedale pubblico Niguarda. Per Padova si apre una porta sul futuro dei pazienti malati di diabete che rende il centro interessante in Europa. Non sorprende che ci sia molto entusiasmo nell’aria: «Non siamo ancora al traguardo finale ma ci siamo vicinissimi – sottolinea il professor Rigotti – Si arriva ad un prestigioso traguardo che fa di Padova il miglior centro d’Italia per i trapianti di pancreas».

Il Centro dell’Azienda Ospedale Università non poteva non esserci: «Ad oggi per trattare un paziente diabetico abbiamo tre possibilità – spiega il professore Fadini – l’insulina, il trapianto dell’organo in toto – quello che qui facciamo da anni – e questa ultima frontiera che è il trapianto delle insule. I diversi trattamenti non sono in competizione o antagonismo e la scelta dipende proprio dalle condizioni del paziente. Abbiamo già una grande esperienza nel trapianto del pancreas e sulle ultime terapie, non poteva mancare la frontiera cellulare per essere all’altezza degli standard mondiali: vogliamo offrire l’intero spettro di possibilità. Tanto più che il diabete è una malattia cronica che riguarda il 10% della popolazione. Per Padova inserirsi in questo percorso significa essere già pronta quando il procedimento – ed è solo questione di tempo – si farà senza necessità di una terapia immunosoppressiva a lungo termine. Allora il rapporto rischi benefici potrebbe rivelarsi davvero molto interessante. Tanto più che è un trattamento che può ripetersi se le cellule muoiono nel corpo del ricevente e, a differenza di un trapianto di organo, con tutte le complicazioni del caso, qui parliamo – pur con ogni cautela possibile – di un’iniezione».

Ma non è finita. L’ultimo atto sarà incapsulare le cellule in modo che non possano essere aggredite dai linfociti del ricevente e, allora, sarà davvero possibile immaginare il trapianto senza il pesante procedimento immunosoppressivo. Tempi? «Abbiamo un cronoprogramma – aggiunge la Furian – che finora abbiamo rispettato. Questa fase dovrebbe arrivare nel 2025».

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