«Il Pride oggi è resistenza agli attacchi del Governo»
Sabato 3 giugno da piazza Garibaldi la parata arcobaleno della comunità Lgbtq+. Intervista a Cuccheri (Arcigay): «Libertà sotto l’assedio di un esecutivo omotransfobico»
Manuel Trevisan
Chiara Cuccheri, presidente di Arcigay Tralaltro Padova e, a destra, un Padova Pride
«Mai come quest’anno il Pride è un momento di resistenza e presidio di diritti. Le libertà e il pieno riconoscimento della comunità Lgbtq+ sono costantemente sotto attacco del governo Meloni che, a parole e con i fatti, non ha mai nascosto la sua anima omotransfobica».
Così Padova, dopo aver preso una chiara posizione a sostegno dei diritti della comunità Lgbtq+, si prepara ad accogliere la parata arcobaleno del Pride che partirà sabato 3 giugno alle 15 da piazza Garibaldi.
Secondo Chiara Cuccheri, presidente di Arcigay Tralaltro Padova, sarà un momento più che mai decisivo per dimostrare ancora una volta che una società realmente inclusiva, in cui la diversità è una ricchezza e non un ostacolo, non solo è possibile ma è urgente e necessaria. E che la politica è drammaticamente distante dalla società civile.
Quest’anno al potere c’è il Governo più a destra della storia repubblicana, che significato assume il Pride?
«Sarà un momento di festa ma, visto il clima, soprattutto di lotta. Un momento in cui la comunità Lgbtq+ potrà esprimersi liberamente per le strade. Il tema del Padova Pride di quest’anno è la cura, la stessa che il Governo non ha nei confronti della comunità Lgbtq+ e più in generale delle minoranze».
Cosa si aspetta dalla giornata?
«Migliaia di persone che marceranno per le strade di Padova, per dimostrare che siamo in tanti e tante, che esistiamo, che siamo fieri di ciò che siamo e che non ci lasceremo intimorire dalla violenza istituzionale. È una grande fatica organizzare il Pride, ma poi la soddisfazione è davvero tanta».
Sono apparse delle scritte omofobe sulle pareti delle scuole padovane. Cosa ne pensa?
«Il clima politico legittima l’odio a cui quotidianamente assistiamo: se si discrimina a livello istituzionale è più facile che si discrimini anche a livello sociale. Inviterei queste persone al Padova Pride così che possano vedere con i loro occhi la bellezza di quello che significa essere Queer, per allargare il loro sguardo e spogliarsi da inutili pregiudizi».
Il Comune ha già provveduto a eliminare le scritte al Liviano. Al netto di qualche episodio come questo, considera Padova una città accogliente per la comunità Lgbtq+?
«Sì, Padova si sta muovendo sempre di più per esserlo e questo è molto positivo. Sia a livello istituzionale che di società civile, che nei mesi scorsi ha riempito le piazze per sostenere le nostre rivendicazioni. Da un anno a questa parte, inoltre, è stato aperto il Centro Spolato, uno strumento fondamentale per contrastare le discriminazioni contro la comunità Lgbtq+ e supportare le persone che le subiscono».
Il cambiamento culturale necessario per rendere la società davvero inclusiva passa anche dal linguaggio. Quanto e perché è importante scegliere le parole con cura e consapevolezza?
«È fondamentale perché le parole hanno il potere di dare significato alla realtà che ci circonda. Non utilizzare un linguaggio rispettoso verso le persone vuol dire cancellare la loro identità. Il lavoro da fare è ancora lungo, per questo non è un problema se le persone sbagliano a utilizzare qualche termine, l’importante però è non dare le cose per scontato, imparare costantemente e soprattutto porsi con un atteggiamento non giudicante nei confronti dell’altro».
Alla parata ci saranno famiglie arcobaleno. Sarà un Pride dedicato anche alla battaglia per il diritto di essere considerate a tutti gli effetti una famiglia?
«Assolutamente sì, anche perché è passata alla Camera la proposta di legge per rendere la gestazione per altri un reato universale, una chiara azione che mira a discriminare le famiglie omogenitoriali, come le molte altre portate avanti negli ultimi mesi. Noi sosteniamo le famiglie arcobaleno e dovremmo farlo tutti, non solo per tutelare loro, ma soprattutto per i figli. Oggi lo diciamo noi ad alta voce: “giù le mani dai bambini”».
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