L’attore Pierpaolo Spollon si confessa: «La mia forza è la padovanità»
L’astro nascente delle fiction racconta il suo amore per Padova: la resistenza dei suoi abitanti, le piazze, il dialetto
Daniela Gregnanin
Pierpaolo Spollon, 34 anni, attore padovano di cinema
«La padovanità consiste nell’essere resistente, attenzione non resiliente, per carità. Essere padovani ti dà la capacità di affrontare sfide e difficoltà». Parole di Pierpaolo Spollon attore 34 anni, astro nascente del cinema e della televisione italiana, nato e cresciuto nella città del Santo dalla quale ha assorbito una socialità a suo giudizio unica.
Padova, la mia ispirazione
«Padova è singolare, speciale perché grazie al suo centro e soprattutto alle sue piazze ti ritrovi immerso in un mondo dove tutti contribuiscono alla tua personalità. Questi spazi sono il vero fulcro, con l’università, di un habitat fatto di personaggi dai quali ho tratto ispirazione e che fanno parte integrante della mia persona e del mio essere attore. Puoi conoscere tutti e non sentirti mai solo e contemporaneamente anche trovare luoghi dove stare in pace con te stesso».
I padovani danno il cuore
Fiero delle sue origini euganee Spollon va avanti e miete successi. In questi giorni ha appena terminato la serie “Blanca” e a breve inizierà le riprese di “Doc nelle tue mani” entrambi fiction Rai e ha concluso da poco la produzione di Netflix “Odio il Natale”.

Spollon sul set di una fiction
«Sono presissimo dal lavoro, ma appena ho tempo rientro in città a casa e mi perdo nelle piazze. Qui ho amici e conoscenti, gente su cui contare e non è vero che siamo chiusi; i padovani ci mettono del tempo a fidarsi, ma poi ti danno il cuore. Ringrazio questa terra per avermi “forgiato” l’indole e dato il talento del saper affrontare qualsiasi sfida. Essere padovano forse è proprio questo: qualunque cosa possa accaderti nella vita, nessun problema; si va avanti con carattere, ci si autodetermina e dirò di più. Quando dicono che i veneti hanno una cultura contadina, non mi offendo per niente, anzi rispondo fieramente sì è vero. Abbiamo queste radici e va bene così, perché possediamo quel senso di collettività agreste davanti agli imprevisti, dello stoicismo e quella capacità di mutuo soccorso che deriva da una comunità che ha sempre lavorato instancabilmente sui campi e poi in fabbrica che ha saputo e sa fare squadra. Davanti ai cataclismi naturali ho sempre visto che i veneti si rimboccano le mani e si danno da fare, aiutandosi l’uno con l’altro, pronti con le pale a togliere fango ovunque a supportare il vicino, per poi magari tornare a una dimensione personale. Nel padovano e quindi nel veneto, convivono a mio giudizio queste due anime: una che ti porta al prossimo e l’altra un po’a farti gli affari tuoi, che non significa essere menefreghisti, ma avere anche una propria dimensione da singolo».
Mi mancano le “ciacoe”
Gli impegni lavorativi tengono Spollon lontano dal luogo natìo e lui ha sempre nostalgia di casa: «Stare lontano da Padova è dura, perché mi mancano il dialetto e il fermarmi nelle piazze a fare quattro “ciacoe”, perché davvero qui nessuno può sentirsi solo. C’è sempre qualcuno con cui attaccare bottone e anche uno straniero viene assorbito dalla coralità del centro, dalla vitalità degli studenti universitari. Rimpiango i personaggi che incontri solo qui, ai quali mi sono ispirato per certi ruoli, mi manca pure quel bersi “un’ombra” con l’esercente del Salone. Alle volte quando sono in città esco per fare degli acquisti veloci e poi alla fine prima di rientrare passano delle ore, perché tutti ti salutano, ti vogliono offrire un caffè, un “goto de vin”, un “folpetto” o un tramezzino e non perché sono famoso o chissà, ma perché noi padovani siamo così: aperti».
Restituirò il bene ricevuto
Un patavino doc Spollon che porta la sua città nel cuore e nel suo essere: «Ho ricevuto molto da questo luogo e credo che essere nato qui sia stato un dono. Devo dire grazie ovviamente ai miei genitori, a Carlo Mazzacurati che mi ha accolto e indirizzato verso questa carriera e quindi so che devo restituire questa fortuna ricevuta: devo esserci per la gente e per chi mi segue. Penso sia questo il senso della vita: restituire il bene ricevuto e poi del resto, come non potrei essere anche questo visto che Padova è stata la capitale europea del volontariato? Mi dispiace che ora la si citi per dire che sia una delle più inquinate, perché è davvero stupenda. Quando accolgo colleghi, registi e amici tutti restano a bocca aperta e pronunciano la famosa frase: “non credevo che fosse così bella”, sì lo è, dobbiamo esserne fieri e comunicarlo a tutti».
Il doppio furto
Lo lasciamo ai suoi impegni quotidiani e gli chiediamo se si è ripreso dall’avventura con il cinghiale che ha investito a fine marzo e dall’incontro sincrono con i ladri che gli hanno rubato le valigie mentre constatava i danni al suo mezzo. «Ovviamente, sono un padovano avanti tutta. Certo una brutta storia, perché poi quando sono giunto a destinazione ho trovato lo stesso giorno altri ladri a casa, una giornata da incubo. Ma da buon padovano io resisto a tutto».
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