In dieci anni Padova ha perso 6.600 artigiani. Ecco le professioni che stanno scomparendo
Chiudono le botteghe e faticano i mestieri tradizionali. In espansione le attività legate a benessere e informatica
Elvira Scigliano
Un artigiano al lavoro
Padova ha perso 6.674 artigiani (inclusi titolari, soci e collaboratori) dal 2012 al 2021, pari al 16,8%. Se nel 2012 gli artigiani nel Padovano erano 39.637, oggi sono 32.963. A dirlo è uno studio della Cgia secondo il quale gli artigiani si stanno “arrendendo” e questo vale in tutta la regione: in dieci anni, infatti, sono diminuiti di 33.500 unità in tutto il Veneto. Percentualmente è il 17,1% in meno, mentre la contrazione media nazionale è del 15,1%.
A chiudere sono soprattutto gli artigiani tradizionali, quelli che avevano bottega in città. «Fiaccati – si legge nello studio – dal boom degli affitti, dalle tasse, dall’insufficiente ricambio generazionale, dalla contrazione del volume d’affari provocato dalla concorrenza della grande distribuzione e, da qualche anno, anche dal commercio elettronico».
Situazione sotto gli occhi di tutti
Basta osservare i quartieri di periferia e i centri storici per accorgersi che sono tantissime le insegne che sono state rimosse e altrettante sono le vetrine non più allestite e con le saracinesche abbassate. Eppure queste attività contribuiscono a definire l’identità di una comunità e sono uno straordinario presidio in grado di rafforzare la coesione sociale di un territorio.
La loro mancanza diffonde un senso di insicurezza e degrado generale e penalizza soprattutto gli anziani.
In via di estinzione
Approfondendo il monitoraggio della Cgia, si scopre che alcuni mestieri artigiani sono letteralmente in via di estinzione: autoriparatori (verniciatori, battilamiera, meccanici), calzolai, corniciai, fabbri, falegnami, fotografi, impagliatori, lattonieri, lavasecco, materassai, orafi, orologiai, pellettieri, restauratori, ricamatrici, riparatori di elettrodomestici, sarti, stuccatori, tappezzieri, tipografi, vetrai.
Questa desertificazione in parte è anche colpa di chi acquista o richiede un servizio: la cultura dell’usa e getta ormai la fa da padrona, il riuso e la riparazione sono sempre più rari e, di fatto, costa meno acquistare un oggetto nuovo che farlo riparare.
Il nuovo business
Per contro, invece, i settori artigiani che stanno vivendo una fase di espansione importante sono quelli delle aree appartenenti al benessere e all’informatica. «Nel primo, ad esempio, si continua a registrare un forte aumento degli acconciatori, degli estetisti, dei massaggiatori e dei tatuatori», rivela la Cgia.
«Nel secondo, invece, sono in espansione i sistemisti, gli addetti al web marketing, i videomaker e gli esperti in social media».
Secondo l’Ufficio studi della Cgia, non è da escludere che per evitare la desertificazione delle botteghe, in atto soprattutto nei centri storici, fra qualche decennio lo Stato dovrà sostenere con finanziamenti diretti coloro che vorranno aprire un’attività artigianale o commerciale. Prima di arrivare a tanto, sarebbe utile azzerare – o ridurre in maniera importante – le tasse locali (Imu, Canone patrimoniale unico, Tari, Irpef) per le attività di prossimità.
Ed ecco la proposta della Cgia: «Si potrebbe cominciare attivando tavoli di concertazione nei Comuni con le associazioni di rappresentanza dei proprietari e degli artigiani, con l’obbiettivo di trovare accordi che garantiscano ai locatori che aderiscono all’iniziativa la possibilità di beneficiare di agevolazioni economiche che in parte andrebbero “riversate” sul locatario, abbattendogli il canone d’affitto. Per fare tutto questo, ovviamente, lo Stato centrale dovrebbe ogni anno trasferire ai Comuni le risorse necessarie per coprire le spese».
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