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Padova si mobilita, sono già 300 le firme per salvare la “casa artistica” di Bussotti

In zona Porta Savonarola è stato abbattuto il capanno del pittore morto 6 anni fa. Ora rischia l’abitazione, che è coperta di ceramiche dipinte

CRISTIANO CADONI
2 minuti di lettura

Renzo Bussotti e la casa di porta Savonarola, cone le ceramiche e il "maggiolone" che completa l'opera

 

Sono passati quasi sei anni dalla morte di Renzo Bussotti, aveva 91 anni, nato e cresciuto a Firenze, fino alla guerra combattuta da partigiano, e poi adottato da Padova, dove si era stabilito, acquistando una casa (e un capanno per dipingere) appena fuori Porta Savonarola, all’incrocio tra le vie Baracca e Giuliani, di fronte alla casa dello zio materno Tono Zancanaro, anch’egli artista, come artista - compositore, per la precisione - era anche Sylvano, il fratello di Renzo.

L’urlatore della condizione umana e la sua casa

Di Bussotti, lo scultore Elio Armano poco dopo la morte aveva scritto che è stato «uno dei più grandi “urlatori” della condizione umana che l’arte italiana ed europea hanno avuto dal dopoguerra in poi».

Era una pittura, la sua, radicata nel grande espressionismo europeo. Eppure negli ultimi anni della sua vita, Bussotti si era dedicato soprattutto alle ceramiche, che produceva e dipingeva in grande quantità nel suo capanno, per poi attaccarle all’esterno del piano terra della sua casa diventata così, in breve tempo, una sorta di installazione, con un maggiolino in sosta permanente all’angolo a completare l’opera.

«Quelle incrostazioni ceramiche parevano accumularsi per gemmazione», ha scritto sempre Armano nel 2017. «Dovrebbero essere salvate e fatte vedere a tutti i padovani».

Il rischio di abbattimento

Oggi quella casa, con tutto il suo patrimonio artistico, rischia l’abbattimento. Il capanno di lavoro di Bussotti è già stato spazzato via, con due colpi di ruspa, e sostituito dall’ennesimo condominio fuori scala rispetto al contesto.

La casa potrebbe fare la stessa fine. Per questo nei giorni scorsi l’architetto e docente del dipartimento Icea dell’Università, Enrico Pietrogrande, ha lanciato, insieme allo stesso Elio Armano, un appello pubblico per salvare la casa dell’artista.

La risposta della città è stata - ed è ancora, perché la raccolta di adesioni è in pieno svolgimento, anche su Facebook - straordinaria.

Hanno firmato in più di trecento: ex sindaci, ex assessori, politici e amministratori locali di ogni colore, docenti universitari, artisti, medici, professionisti, presidenti di ordini professionali, esponenti dell’associazionismo, amanti dell’arte, cittadini. Un elenco che è già lunghissimo e che si traduce in un appello collettivo fortissimo: quella casa non si può e non si deve abbattere, perché la città ha un debito morale nei confronti di Bussotti e della sua arte.

Il piano per salvare la casa-opera

Ora però la domanda è questa: come si salva quella casa? Bisognerà individuare la proprietà, capire se c’è margine per rilevarla. Un compito che potrebbe spettare all’amministrazione comunale, se qualcuno a Palazzo Moroni vorrà farsi carico di raccogliere un appello così forte.

«Quella casa è tutta un’opera d’arte, un unicum irripetibile e che ci dice tanto della figura di Renzo», dice oggi Elio Armano.

«Non credo che si possa escludere del tutto neppure l’eventualità che l’edificio possa essere sottoposto a tutela, così com’è, per il suo valore artistico. Ma a prescindere dall’eventuale vincolo, credo che Padova debba molto a lui, alla sua arte, e che sia giusto onorarne la memoria e le opere mettendo in salvo quello che ci ha lasciato». L’appello della città è lanciato.

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