Il burcio storico ritorna a navigare: diventerà un centro culturale sull’acqua
Il progetto di restauro del “Freccia Azzurra” portato avanti da Alessandra Varotto di Monselice ed Enrico Sandon di Sant’Elena
Giada Zandonà
Il “Freccia Azzurra”, l’ultimo burcio ancora in grado di navigare, diventerà un centro culturale grazie ad un progetto di restauro portato avanti da Alessandra ed Enrico, due giovani visionari di Monselice e Sant’Elena. Dopo sei anni di lavoro, a giugno il loro sogno di creare una “cultura navigante” si trasformerà in realtà quando il burcio tornerà a solcare le acque della laguna e dei canali.
Alessandra Varotto, manager della comunicazione, ed Enrico Sandon, “squerariol”, maestro d’ascia e costruttore di barche, entrambi 37enni, dal 2017 hanno deciso di vivere le loro giornate nello squero (un cantiere navale) di Olindo Ranzato a Chioggia. Qui, è stato riportato a galla il “Freccia Azzurra”, un burcio di legno costruito nel 1957, lungo quasi 21 metri, largo 5 e del peso di 28 tonnellate.
Questa antica imbarcazione è stata utilizzata fino agli anni Sessanta per il trasporto delle merci in laguna e nei canali navigabili dell’entroterra veneto. Una barca molto preziosa per una voce autorevole come Riccardo Cappellozza, l’ultimo dei barcari e fondatore del Museo della Navigazione di Battaglia Terme.
Se l’idea di poter vivere al giorno d’oggi di arte e di lavori antichi appare difficile, quella di creare una “cultura navigante” è però un’utopia che sta diventando realtà: «È una storia di incontri, di scelte etiche e sociali», raccontano Alessandra ed Enrico. Tutto è cominciato quando Enrico lavorava a Venezia come “squerariol” (costruttore di barche) e ha incontrato il 38enne Tommaso De Michiel: «Lui è un appassionato di storia di barche, mentre io le costruisco e così nel 2016 abbiamo deciso di cercare un burcio da restaurare», racconta Enrico. «L’obiettivo era non perdere i valori della navigazione, di recuperare i lavori antichi, la storia e le tradizioni del nostro territorio e così abbiamo fondato l’associazione “Batipai” per portare avanti il nostro sogno».
Dopo aver convinto il proprietario del “Freccia Azzurra” a cederlo, si sono messi al lavoro: «C’è voluto più di un anno per poter avere il burcio, che si trovava in condizioni davvero disperate» continua Enrico «e anche per trovare il cantiere e farci accettare come “foresti” dai marinai di Chioggia».
Una sfida difficile a cui partecipa anche Alessandra: «Ho ritrovato Enrico per caso dopo 15 anni e abbiamo capito subito che il nostro incontro non è stato casuale. Ho cominciato subito a sostenerlo, prima nella fase di comunicazione e progettuale, poi in quella pratica, fatta di chiodi, martelli, resine e fatica di cui lui è un maestro».
I due giovani da sei anni stanno restaurando in modo tradizionale il burcio, che ha anche due particolarità: è uno dei rari pezzi creati per avere un motore ed è l’ultimo che ancora potrà solcare le acque. «Abbiamo tre obiettivi: riportare in vita la storia dei burci, stimolare la cultura dei fiumi ed il rispetto per l’ambiente e portare arte in luoghi insoliti. E poi, cosa non trascurabile, dare lavoro a delle persone».
Da giugno la “cultura etica e navigante” prenderà vita: «Faremo teatro, cinema e spettacoli. Il burcio sarà un palcoscenico senza sipario ma con le vele, in un progetto di inclusione e collaborazione», concludono i due visionari. Mancano però ancora 30 mila euro, ai 70 mila già investiti, per completare un progetto che porta avanti valori che appartengono a tutti e per questo da domani partirà una raccolta fondi sul sito www.batipai.org.
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