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Vendita di un albergo in Val Zoldana: assolti due padovani accusati di bancarotta fraudolenta

Al centro dell’inchiesta l’acquisto e poi la rivendita dell'hotel Corinna a Forno di Zoldo nel Bellunese destinato a un intervento di trasformazione urbanistica in sei unità residenziali, conservando in parte la destinazione alberghiera. Un intervento mai perfezionato

Cristina genesin
1 minuto di lettura

Due assolti e una condanna confermata sia pure ridimensionata: è la sentenza pronunciata dalla Corte d’appello di Venezia nell’ambito della vicenda sulla ristrutturazione di un albergo nel Bellunese, l’hotel Corinna a Forno di Zoldo che ha coinvolto dei padovani.

Assolti dall’accusa di bancarotta fraudolenta perché “il fatto non sussiste” Antonio Finato, 70 anni, di Mestrino difeso dagli avvocati Alessandro Baldina e Alessandro Verga, consulente finanziario di una famiglia che stava svolgendo una cessione immobiliare (in primo grado condannato a 3 anni) ed Ezio Carlon, 87 anni, di Villa del Conte difeso dal legale Stefania Martin (in primo grado 2 anni).

Confermata la condanna per il geometra Paolo De Rossi, 67 anni di Padova, amministratore di diritto dell’immobiliare La Collina del Sole e, di fatto, della società Terraglio srl (difensore l’avvocato Francesco Rondello) ridotta da 4 a 3 anni sempre per bancarotta. Il reato di truffa (contestato a De Rossi e a Finato) era stato dichiarato prescritto già in primo grado.

Al centro dell’inchiesta l’acquisto e poi la rivendita dell'hotel Corinna a Forno di Zoldo nel Bellunese destinato a un intervento di trasformazione urbanistica in sei unità residenziali, conservando in parte la destinazione alberghiera. Un intervento mai perfezionato.

A comprare la struttura dalla famiglia Casal, la società Collina del Sole che poi è fallita. Secondo quanto emerso dall’inchiesta l’immobiliare La Collina del Sole era stata ripulita facendo sparire 495 mila euro poco prima del crac quando l’albergo era stato ceduto all’immobiliare Europea.

Quest’ultima nell’ottobre 2011 aveva ottenuto un prestito di circa 3 milioni di euro da banca Mps, la cui concessione era stata subordinata alla presentazione della documentazione a conferma dell’operazione. Tutti atti trasmessi puntualmente, anche se - stando ancora all’accusa – si sarebbe trattato di atti costruiti a tavolino con timbro (falso) del Comune zoldano (ma la truffa è andata prescritta).

Le difese hanno diversamente ricostruito il crac evidenziando che né Finato né De Rossi avevano avuto ruoli nella seconda parte della vicenda: in particolare Finato, godendo della fiducia dei Casal in quanto ex direttore di banca in pensione, aveva partecipato al primo rogito, nulla sapendo del progetto di modifica dell’hotel e della seconda compravendita.

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