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Violenza sessuale su figlia e amiche, il pm chiede sei anni di condanna

Sul banco degli imputati un 52enne ex barista oggi in carcere: solo due ragazze chiedono i danni

Cristina Genesin
2 minuti di lettura

È accusato di violenza sessuale aggravata (in quanto commessa, all’epoca dei fatti, nei confronti di minori anche sotto i 14 anni) nei confronti della figlia e di due sue amichette, nate rispettivamente nel 2000, 2003 e 2004.

Piena la confessione durante l’inchiesta, mentre in aula davanti al giudice il cinquantaduenne ex barista, residente in un Comune delle Terme e attualmente detenuto nel carcere di Verona, ha circoscritto la propria responsabilità soltanto verso la figlia.

Il magistrato non gli ha creduto

Ma il pubblico ministero padovano Roberto Piccione non gli ha creduto. E ha chiesto per l’imputato una condanna a sei anni di carcere, pur partendo nel calcolo della pena da nove anni ridotti per legge di un terzo per la scelta della difesa di un rito alternativo, il giudizio abbreviato.

Condanna contestata dalle difese (gli avvocati Leonardo Arnau e Pietro Sartori) che hanno evidenziato una serie di contraddizioni emerse in particolare dai racconti delle due amiche. Ora l’ultima parola passa al gup Domenica Gambardella che pronuncerà la sentenza il 2 dicembre.

Solo due vittime (presunte, finché non c’è almeno la pronuncia in primo grado) si sono costituite parte civile, la figlia tutelata dall’avvocato Michele Chiaramida che ha chiesto un risarcimento di 100 mila euro, e un’amica, la più piccola, assistita dall’avvocato Francesco Cibotto, che ha reclamato un ristoro di 200 mila euro.

La storia

Nel 2021 quest’ultima, 17enne, fa esplodere il caso dopo una confidenza con la psicologa dell’Unità operativa complessa della Psichiatria dell’Azienda ospedaliera di Padova che la segue da un paio d’anni dopo essere entrata nel tunnel dell’anoressia.

Durante una delle sedute la ragazzina racconta le molestie subite dal padre dell’amica tra il 2018 e il 2019, quando era tra i 14 e i 15 anni: in piena notte lui entrava nella cameretta dove dormivano, infilava le mani sotto le lenzuola e poi le alzava la camicia violando il suo corpo inerme nella parti più intime.

La segnalazione

La psicologa fa un’immediata segnalazione in procura e il caso finisce sul tavolo del pm Piccione che fa partire l’inchiesta affidata alla Squadra mobile. Le ragazzine vengono ascoltate dagli investigatori in una situazione “protetta” con l’ausilio di una psicologa.

E pure la figlia ricostruisce quelle violenze patite tra i 10 e i 16 anni, nel periodo 2013-2019, costretta a toccare il padre in una occasione; la terza vittima, che ha deciso di non partecipare al “processo”, avrebbe subito le violenze a 15 anni da lei raccontate nel dettaglio.

Durante un interrogatorio con il magistrato l’uomo confessa e ammette tutti gli episodi di violenza sessuale che gli vengono contestati. Agli atti d’indagine ci sono una serie di intercettazioni telefoniche con la moglie che, fino ad allora all’oscuro di tutto, gli aveva detto: «Nostra figlia non ha motivo di mentire», e lui: «Non ho detto che mente».

Verso il processo

Il pm Piccione chiude formalmente l’inchiesta e sollecita il rinvio a giudizio. A quel punto la difesa chiede il rito abbreviato che, in caso di condanna, prevede uno sconto di pena. E in aula, dove non è mai mancato, il 52enne fa una parziale ritrattazione cercando di giustificarsi con il fatto che in quegli anni avrebbe abusato di cocaina (ha dei precedenti per spaccio).

Secondo la pubblica accusa è un racconto contraddittorio di fronte alla puntuale ricostruzione delle ragazze che tra loro non avevano mai parlato della tragica esperienza. E ad altri elementi emersi dalle intercettazioni. Tra dieci giorni il verdetto.

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