Borgoricco, imprenditore suicida vittima della crisi: la Procura chiede l’archiviazione
I familiari di Giancarlo Perin, morto nel 2011, si oppongono alla richiesta: «Vogliamo la verità sui rapporti con gli istituti bancari»
Cristina Genesin
«Chiediamo che il giudice voglia disporre la prosecuzione dell’indagine e acquisire la consulenza tecnica del dottor Bottecchia... affinché sia fatta piena luce sui fatti di cui alla denuncia e, in particolare, sui rapporti esistenti non solo con Mps (Banca Monte dei Paschi di Siena) ma anche con la Banca Credito Cooperativo di Campodarsego».
È quanto si legge nella parte conclusiva dell’atto di opposizione alla richiesta di archiviazione di un’indagine per istigazione al suicidio e usura. Un’indagine nell’ambito della quale figurano indagati tre banchieri (l’ex presidente di Mps Giuseppe Mussari con due ex consiglieri Mps, il professor Andrea Pisaneschi e Francesco Spinelli) oltre a tre quadri della banca, ex direttori.
A firmare l’atto di opposizione è l’avvocato Domenico Zanon per conto della vedova di Giancarlo Perin, l’imprenditore 52enne di Borgoricco che, travolto dalla crisi, scelse di morire. E prima, nel biglietto di addio, scrisse che i due istituti bancari di cui era cliente (Mps e Credito coop) gli avevano chiuso le porte in faccia. A firmare la richiesta di archiviazione, invece, il pubblico ministero padovano Marco Peraro.
Perché da parte della moglie di Perin, Romana Cagnin, la decisione di “spingere” affinché l’indagine non si fermi (contrariamente a quanto chiede il magistrato inquirente)? Anzi, addirittura di allargare gli accertamenti all’altro istituto di credito di cui Perin era correntista? Istituto, quest’ultimo già al centro di un’analoga inchiesta avviata nel 2011 e archiviata nel 2012?
Nel 2019 si verifica un “fatto nuovo”: una sentenza del tribunale civile di Padova riconosce le irregolarità (rilevate sempre dal legale della signora tramite l’avvio di una causa) nei contratti sottoscritti tra Perin e Mps per prestiti e fidi tanto da dichiarare la nullità di quegli atti per violazione di alcune norme del Testo unico bancario, l’illegittimità delle somme richieste, l’usurarietà dei tassi applicati e la nullità delle fideiussioni rilasciate. La conseguenza? La condanna dell’istituto di credito a rettificare il saldo del conto corrente della ditta Perin, passato da un negativo di 229.669,62 euro a 127.086,06. In pratica un taglio di 102.583,56 euro di debito. La pronuncia, già passata in giudicato, è definitiva.
Se usura c’è stata (e lo “certifica” il tribunale civile), perché anche nel penale non dovrebbe essere riconosciuta, si chiede l’avvocato Zanon che tutela Romana Cagnin Perin?
Da qui la richiesta. Eppure il pm Peraro, titolare dell’indagine, è stato di avviso diverso, concludendo per l’archiviazione dell’inchiesta affidata ai carabinieri della piccola stazione di Campodarsego. «La denunciante (la moglie di Perin) lamentava che il congiunto era stato indotto al gesto estremo anche a causa del comportamento vessatorio di Mps...» scrive il pm, citando una consulenza tecnica che non aveva riscontrato “comportamenti anomali” nei rapporti tra l’impresa e le due banche di cui Giancarlo Perin era cliente (Mps e Credito cooperativo). E la sentenza civile che aveva individuato i tassi usurari da parte di Mps? Il pm rileva che «la consulenza ha evidenziato come siano diverse le modalità di verifica dell’applicazione di interessi usurari. In particolare il consulente (della causa civile, Bottecchia) è giunto alla segnalazione della sussistenza di interessi di usura disapplicando le formule di calcolo elaborate dalla Banca d’Italia e sulla base delle quali gli istituti di credito verificano il superamento o meno della soglia di usura». Tradotto, applicando (da parte delle banche) le formule di calcolo della Banca d’Italia si arrivava agli interessi usurari. Come dire: tutto è stato fatto secondo le regole dettate dall’istituto centrale. Domanda che viene spontanea (sollevata pure dall’atto di opposizione all’archiviazione): perché applicare le indicazioni della Banca d’Italia se è la legge, e nessun’altra “fonte” (come ribadisce la sentenza del tribunale civile), a dover stabilire il limite oltre il quale gli interessi sono usurari? —
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