Un padovano su 4 ha un reddito sotto i 15 mila euro: ecco i Comuni dove si guadagna meno
Sono 246 mila i contribuenti che non superano questa soglia. La Cgil: «Non si può aspettare il voto». La mappa
Claudio Malfitano
PADOVA. Un padovano su quattro vive con un reddito lordo al di sotto dei 15 mila euro annui, in pratica con mille euro al mese. E la maggior parte si concentra nei comuni della Bassa, quelli in cui la povertà è più diffusa. Un quarto della popolazione che dovrà fare i conti con un autunno “caldissimo” dal punto di vista del costo della vita. Un susseguirsi di rincari dovuti all’aumento del costo dell’energia e delle materie prime che hanno spinto l’inflazione a livelli che non si vedevano da oltre trent’anni. Una spirale in cui sembra l’Italia si stia avvitando quasi senza ritorno: «Già oggi la situazione è abbastanza critica. Serve intervenire subito per non rischiare tensioni sociali in autunno. Non bonus ma interventi strutturali», avverte la Cgil di Padova per bocca di Marco Galtarossa, componente della segreteria confederale del sindacato.
POVERTA’ DIFFUSA
Nelle ultime dichiarazioni dei redditi analizzate (quelle del 2021) sono stati 246.702 i contribuenti che hanno dichiarato meno di 15 mila euro annui di guadagno. Vale a dire il 38% del totale. Al netto ovviamente di una quota di evasione, c’è una buona fetta di popolazione che vive attorno alla soglia di povertà. E che i rincari di queste settimane colpiscono maggiormente.
La distribuzione geografica della povertà appare anche abbastanza omogenea, con il territorio della Bassa più in difficoltà sul fronte del reddito medio. I Comuni in cui si registra la maggior percentuale di dichiarazioni “povere” sono Castelbaldo (dove si supera il 50%) e poi Solesino, Casale di Scodosia, Merlara, Masi, Piacenza d’Adige, Vo’, Barbona, Candiana e Cinto Euganeo.
Al contrario i Comuni dove il problema povertà è meno sentito sono quelli della cintura urbana: Albignasego, Limena, Ponte San Nicolò e Noventa. Si sta meglio anche nell’Alta mentre a Padova città sono 53 mila quelli che vivono con circa mille euro al mese.
RISCHIO TENSIONI
Su quello che accadrà in autunno le letture sono molteplici, quasi tutte purtroppo pessimiste. La Cgil, com’è d’obbligo per un sindacato, punta il focus sul mondo del lavoro: «Il rischio, se le imprese sono in difficoltà o se ci sarà un blocco della produzione, è quello che scatti la cassintegrazione. E questo fa ricadere ancora una volta sui lavoratori anche il peso del costo energetico. Ovviamente tutto questo può sfociare in tensioni sociali», avverte Marco Galtarossa.
Un dibattito che ovviamente influenzerà la campagna elettorale ma per la Cgil non c’è il tempo di aspettare il voto: «Si vota il 25 settembre e ora che si insedia il nuovo governo siamo già a novembre – ragiona l’esponente della segreteria confederale – L’intervento invece deve essere immediato».
Ma di che tipo? Il sindacato suggerisce un cambio di rotta: «Già a giugno avevamo detto che gli interventi spot, come i vari bonus inseriti nei due decreti Aiuti, non erano sufficienti. Avere una tantum 200 euro è insufficiente per affrontare questa situazione – chiarisce Galtarossa – Deve essere chiaro a tutti che un aumento così pesante di inflazione e costo dell’energia non avrà effetti di breve durata». Per la Cgil dunque servono interventi strutturali su salari e pensioni: «Noi proponiamo aumenti di 200 euro netti intervenendo sui rinnovi dei contratti collettivi, trovando le risorse dal cuneo fiscale e dalla decontribuzione dei salari – osserva – Anche la rivalutazione del 2% delle pensioni avrà effetti limitati perché si concretizzerà in 150-160 euro in più da ottobre a dicembre».
Infine il tema povertà diffusa: «L’emergenza c’è da tempo, non è un effetto dell’inflazione – conclude Galtarossa – Va eliminato il precariato e il lavoro povero, che coinvolge soprattutto le donne e i giovani».
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