Padova e le sue Meraviglie, in un volume le migliori cento (più una)
Edito da Typimedia, il libro è opera dei giornalisti del “mattino” Nicola Cesaro e Claudio Malfitano, con le foto di Fabio Muzzi
francesco jori
PADOVA. È nota per essere la città dei tre senza: un Santo senza nome (Antonio), un Prato senza erba (della Valle), un Caffè senza porte (Pedrocchi). Ma Padova può esibire anche un ben più corposo esempio di segni “più”: autentici fiori all’occhiello, cresciuti lungo l’arco dei suoi tremila anni di vita. Accompagna a scoprirli, uno per uno, una guida fresca di libreria: «Padova, le 100 meraviglie (+1)», edita da Typimedia, opera di due giornalisti del mattino, Nicola Cesaro e Claudio Malfitano: frutto di un’approfondita conoscenza del territorio che deriva dal modo stesso di vivere il mestiere. Perché la loro non è una scrittura elaborata a tavolino, ma nasce da un’autentica passione per una Padova vissuta e scoperta in prima persona, e raccontata dal di dentro. Ne è nata una proposta basata su agili ma dense schede, corredate dalle splendide foto di Fabio Muzzi. L’opera sarà presentata sabato 30 luglio, alle 11, nella Sala Rossini del Caffè Pedrocchi. Introdurrà il volume il direttore del mattino, Fabrizio Brancoli.

Ce n’è per tutti i gusti, con voci classiche e altre tali da stupire perfino qualche padovano doc. Intanto, i due monumenti tipici della città, entrambi varati nel sontuoso Duecento: quello religioso, una basilica del Santo che ancor oggi richiama ogni anno tre milioni di pellegrini, e che custodisce un’eccezionale serie di capolavori artistici; e quello laico, il palazzo della Ragione, dove la giustizia si amministrava alla luce non della vendetta ma della ragione appunto, e sotto il quale contestualmente era sorto il primo grande centro commerciale ante litteram della storia. Ma anche piccoli tesori ignoti ai più: come la chiesa di san Michele Arcangelo in frazione Pozzoveggiani, che custodisce gli affreschi più antichi di Padova, di epoca romanica. Senza trascurare la chiesa dei Carmini, con la sua Scoletta rinascimentale, stimolante collezione di piccole cartoline dal Cinquecento; o quella dei Servi, voluta dalla “first lady” padovana del Trecento Fina Buzzaccarini, moglie di Francesco il vecchio da Carrara, che custodisce un prezioso crocefisso ligneo opera del Donatello.
A questi patrimoni religiosi si affiancano numerose testimonianze di architetture laiche. A partire dal mitico ottocentesco Pedrocchi, uno dei caffè storici più prestigiosi d’Italia, frequentato da grandi firme di intellettuali quali Gautier, Nievo, Stendhal, ma anche luogo mitico dell’insurrezione studentesca del 1848 contro gli austriaci. E una sottolineatura particolare va dedicata al prezioso complesso della Loggia e Odeo Cornaro di via Cesarotti, a due passi dal Santo, firmato dal Falconetto su commissione di uno straordinario mecenate, Alvise Cornaro, promotore di un raffinato circolo letterario: scene calcate tra l’altro da uno dei padovani più illustri della storia, il Ruzzante. Ma ci sono anche testimonianze più recenti: come il monumento “Memoria e luce” opera di Daniel Libeskind in ricordo dell’attentato alle Torri Gemelle di New York del settembre 2001, che custodisce un frammento di quel devastante crimine contro l’umanità.

La copertina del volume edito da Typimedia, curato da Nicola Cesaro e Claudio Malfitano
E tuttavia, gli autori non trascurano nella loro rassegna un concetto fondamentale: la città non è solo pietre per quanto illustri, è anche e soprattutto uno stato d’animo. E questo a Padova si è sedimentato attraverso un paziente tessuto civico realizzato nei secoli, e capace di attirare da fuori “foresti” illustri, da sant’Antonio a Giotto, da Petrarca a Galileo: attratti dalla qualità di vita della realtà patavina. Cui concorrono anche cose minime ma solleticanti: ecco così schede dedicate al rito dello spriz, popolare momento di degustazione ma anche di socialità; o a delibare il “folpetto” in tocio, variante popolana di quello che oggi si chiama volgarmente “finger food”; o ad apprezzare i vini locali, dal friularo al fior d’arancio; magari nel ricordo della grande tradizione padovana dei liquori, dal Cynar all’Aperol al Vov.
Manca all’appello il “più 1” del titolo. Che riguarda non un monumento ma un soggetto collettivo, i padovani stessi. Gente accogliente nel dna, visto il mito che attribuisce la fondazione della città ad Antenore. Non un indigeno, ma un profugo in fuga da una devastante guerra del Medio Oriente: qui accolto e ambientatosi alla grande. Alla faccia del “prima i veneti”.

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