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Lettera di 530 professori alla rettrice. «Didattica all’Università di Padova solo in presenza»

Mapelli: «Mai stata in discussione. Valuteremo insieme il parziale utilizzo di tecnologie limitatamente ad alcuni corsi»

Simonetta Zanetti
2 minuti di lettura

PADOVA. No alla didattica duale “istituzionalizzata”. Lo sostengono 532 docenti del gruppo di Università Libera, Università del Futuro in una lettera recapitata alla rettrice Daniela Mapelli e ai componenti del senato accademico. «Vogliamo sollecitare una riflessione» sostiene il professor Luca Illetterati «sul fatto che mantenere tutto all’interno dello stesso modello, didattica in presenza e a distanza, comporta un abbassamento della qualità dell’insegnamento».

LA MICCIA

Ad armare il dibattito, la comunicazione, in occasione del senato accademico del 15 febbraio scorso, dell’annuncio della prosecuzione della modalità di insegnamento duale anche per il secondo semestre dell’anno accademico in corso, in continuità con un modello di didattica inaugurato dopo che l’allentamento della pandemia, aveva consentito di far tornare gli studenti anche in presenza, mescolando le carte: un po’ in aula e un po’ da casa, con percentuali variabili a seconda della recrudescenza del virus.

«In vista di una fuoriuscita dalla logica sanitaria emergenziale che regge la necessità di questo modello di didattica, chiediamo che la decisione circa le modalità didattiche del prossimo anno accademico sia anticipata da un’ampia discussione nei corsi di laurea, nei dipartimenti e nelle scuole, oltre che, ovviamente, nel senato accademico» si legge nella lettera inviata a rettrice e senatori che ha visto crescere i consensi nel corso delle settimane, con la sottoscrizione di quasi un docente su quattro dell’Ateneo «in particolare, a noi sembrerebbe opportuno che si assumesse fin da subito che la didattica su cui si impegnerà il nostro Ateneo nel prossimo anno accademico sarà una didattica in presenza e non duale, con l’impegno a passare eventualmente a una modalità duale se e solo se le circostanze sanitarie e le conseguenti indicazioni degli organi preposti lo richiederanno».

I NODI DEL DIBATTITO

In sostanza, chiarisce Illetterati «non bisogna normalizzare l’emergenza solo perché funziona. L’organizzazione della didattica deve essere conseguente a una discussione sull’università che vogliamo, altrimenti si finisce per limitarsi a elargire un servizio ai clienti. Noi non partiamo da posizioni di pregiudizio, né lo sta facendo l’Ateneo che, pure, sta lavorando in questo senso.

Siamo quindi aperti a tutte le trasformazioni, ma vorremmo che queste fossero frutto di una riflessione collettiva e di un maggior coinvolgimento dei dipartimenti, animati da una progettualità e non dall’adozione di una decisione presa in altre condizioni. Abbiamo infatti il timore che il sistema duale possa essere acquisito come didattica del futuro e non crediamo che questa sia una strada sensata, laddove qualche ateneo sta pensando di far convivere il modello misto per incentivare le iscrizioni. Ma questo sistema non funziona se per ottenere il risultato si finisce per abbassare il livello della qualità: e questo è quanto avviene con il modello misto».

Il problema rilevato dal gruppo di docenti di Università Libera, Università del Futuro è la contemporaneità dei due tipi di insegnamento, che pure negli ultimi due anni ha garantito risposte, non solo in sede emergenziale, ma anche, ad esempio, a lavoratori e studenti stranieri. «Gli studenti lavoratori sono sempre esistiti e per loro sono sempre stati garantiti programmi ad hoc» conclude Illetterati «pertanto, se necessario è possibile aprire una riflessione per un nuovo canale ad hoc, l’importante è non tenere tutto all’interno dello stesso modello».

LA RISPOSTA

Ieri quindi la risposta della rettrice che dopo aver ripercorso le sfide che hanno «consentito di garantire il percorso formativo» e aver ricordato che «siamo stati il primo Ateneo ad annunciare ed effettuare il ritorno delle lezioni in presenza», annuncia: «Stiamo già pensando alla modalità didattica che vorremmo per il prossimo anno accademico» scrive Daniela Mapelli «la scelta per la didattica in presenza che voi auspicate, non è mai stata messa in discussione. Nelle sedi di discussione, quali sono per esempio la commissione didattica, il presidio della qualità della didattica e il senato accademico, è sempre stato ribadito che la didattica in presenza è una priorità».

Il recinto, va da sé, resta quello delle possibilità previste dal Ministero, nella speranza di una pandemia ancora più mitigata. «Didattica in presenza» chiarisce Mapelli «per i nostri studenti significa anche vivere l’Università. Valuteremo anche se un parziale uso delle tecnologie, entrate nel nostro bagaglio in questi due anni, possa rivelarsi utile per migliorare situazioni di disagio per alcuni studenti, spesso causati da eventi indipendenti dalla nostra volontà. Potremmo pensare, e ogni eventuale decisione verrà presa in accordo con dipartimenti, corsi di laurea e studenti, forme di didattica con parziale utilizzo delle tecnologie limitate ad alcuni corsi di laurea, laddove possa essere strumento utile e innovativo, così come si è dimostrato durante la pandemia».

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